“… e tanto nessuno si chiamerà mai Francesco”

Papa Francesco

Non appena pronunciato quel nome dal balcone di San Pietro, ho pensato subito a lui.
A padre Giovanni Pittorru, il professore di religione che avevo al liceo.

Faccio un rollback: fine anni ’90, liceo Visconti di Roma.

Non essendo cattolico non ho mai fatto l’ora di religione, anche perché vedendo gli idioti che la diocesi mandava in aula me ne guardavo bene.
Molto meglio fare l’ora “alternativa” (durata poco), oppure uscire o entrare prima o stare libero per ripassare un po’.

Poi, mi pare gli ultimi due anni, venne assegnato al liceo un prete (gli altri prof di religione erano laici).
I miei dubbi aumentarono, ma scambiandoci qualche parola ebbi subito l’impressione di una persona che valeva la pena stare ad ascoltare, una persona con cui discutere.

Lui era, oltre che una durissima testa sarda,  anche parroco di una chiesetta vicino via della Lungara, vicino Regina Coeli, tanto per inquadrare bene la persona.

Così non scelsi di “obiettare”, ma feci religione con la maggior parte della classe. Anche perché, pensavo, alla fine era sempre un voto in più (quasi sempre a favore) agli scrutini di fine anno.

Non mi sono mai pentito di quella scelta, anzi. Ricordo che avevamo quasi sempre la prima ora di lezione, così uscivamo ed andavamo a vedere le opere d’arte di qualche chiesa nei dintorni, magari unendo nel mentre un pezzo di pizza bianca appena sfornata o d’estate una granita di caffè alla Tazza d’Oro al Pantheon.

La cosa che più ricordo era comunque l’estrema disponibilità al dialogo di padre Pittorru. Sapeva come molti di noi la pensavano e, nel mio caso,  la pensano ancora.
Eppure non si ritirava mai dal dialogo, anzi rispondeva con forza, intelligenza ed arguzia.

Tanta da arrivare a mettere in dubbio le credenze, anche troppo stupidamente radicate, di una mente adolescente.

Tanta da convincermi a partecipare all’ultima messa (volontaria) della mia vita, un lontano Natale di una quindicina d’anni fa.

Ricordo diverse cose che mi disse Giovanni Pittorru, ma questa è rimasta sempre nella mia mente, nascosta quel tanto che bastava per risalire poi a galla non appena pronunciato quel qui sibi nomen imposuit

Ci penso qualche volta a diventare papa. Ma uno come me non lo faranno mai papa.
Però se mai capitasse mi piacerebbe chiamarmi Francesco. Non c’è mai stato nessun papa Francesco, sarebbe il primo.

Ma non faranno mai papa uno come me, e tanto nessuno si chiamerà mai Francesco.

E invece, in una piovosa sera di marzo, un cardinale venuto dalla fine del mondo ha scelto proprio di chiamarsi Francesco.

Padre Pittorru si sbagliava. Ma la sua speranza alla fine ha vinto.

Speriamo sia un buon segno. Per tutti.

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Dave Pell parla dell’Italia

Avrei voluto parlare, prima o poi, di Next Draft, la newsletter di Dave Pell.
Ora che finalmente si occupa delle vicende italiane è proprio il caso di farlo.

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Pell ha lavorato e lavora su diversi progetti in giro per il web, Rollyo su tutti, ed è un addicted to news.

Il suo successo maggiore è proprio Next Draft, che recapita ogni giorno (o quasi) nella inbox dei suoi abbonati. In modo del tutto gratuito.
E il suo successo dimostra ancora come, in un’era di social network e connettività ovunque, l’email sia ancora una killer application.

La newsletter è ovviamente orientata ad un pubblico a stelle e strisce, ma sicuramente molto interessante perché include una o due notizie del giorno più alcune particolarità e cose insolite che è difficile trovare altrove. Se non scansionando il web come fa lui.

Inoltre sulle notizie più importanti, come ad esempio la strage di Newtown, riesce sempre a trovare quel reportage particolare, quell’informazione in più, quella curiosità inaspettata.

Nella newsletter di qualche giorno fa Dave si è occupato proprio dell’Italia, sempre nel suo modo ironico ma efficace

2. Italian Humor

Those who love Venice worry that the city is slowly sinking. But if recent elections and financial woes are any indicator, the rest of Italy might just sink first. Italy’s government has been thrown into chaos in part because of the the successful showing at the polls by “a comedian [who] has no comprehensive plan for running the country.” And if that’s not funny enough, Berlusconi could be back in action.

Niente che non sapessimo già, ci mancherebbe.

Ma almeno ho il pretesto per pubblicizzare un ottimo servizio 🙂

P.S. Non so quanto sia ufficiale o autorizzato, ma qui trovate pubblicate tutte le newsletter.

Marissa Mayer vuole i suoi dipendenti “fisicamente insieme”

Chi segue le notizie di tecnologia conoscerà sicuramente la storia di Marissa Mayer.

mmayer

Prima ingegnere donna di Google, assunta da Yahoo! come CEO mentre era incinta e quindi simbolo di una donna giovane, molto brava, che riesce a portare avanti una carriera luminosa con un forte desiderio di famiglia.

La Mayer era stata chiamata proprio per risollevare le sorti di quello che tanto tempo fa era uno dei principali motori di ricerca, e che ora è diventata un’azienda che non si sa bene cosa faccia.

Tra le varie modifiche fatte da quando lei è alla guida della società, l’ultima è quella che sicuramente ha scatenato più discussione e più eco, anche nella stampa generalista. Ovvero la decisione di eliminare il telelavoro.

Questa la nota che il capo del personale di Yahoo! ha inviato a tutti i dipendenti (pubblicata da AllThingsD):

To become the absolute best place to work, communication and collaboration will be important, so we need to be working side-by-side. That is why it is critical that we are all present in our offices. Some of the best decisions and insights come from hallway and cafeteria discussions, meeting new people, and impromptu team meetings. Speed and quality are often sacrificed when we work from home. We need to be one Yahoo!, and that starts with physically being together.

Beginning in June, we’re asking all employees with work-from-home arrangements to work in Yahoo! offices. If this impacts you, your management has already been in touch with next steps. And, for the rest of us who occasionally have to stay home for the cable guy, please use your best judgment in the spirit of collaboration. Being a Yahoo isn’t just about your day-to-day job, it is about the interactions and experiences that are only possible in our offices.

La notizia è rimbalzata ovunque e, come era prevedibile, scatenato molti commenti e molte polemiche. Soprattutto perché nel mondo delle aziende tecnologiche USA il telelavoro e la flessibilità sono sempre state uno dei punti forti della loro competitività, in particolare riguardo alla maggiore “rigidità” dei modelli lavorativi europei.

Tra i commenti più interessanti c’è senza dubbio quello di Richard Branson, capo della Virgin, Branson ha pubblicato un post dal titolo molto esplicativo Give people the freedom of where to work. In cui si dichiara molto perplesso per la scelta di Yahoo!, in particolare perché

If you provide the right technology to keep in touch, maintain regular communication and get the right balance between remote and office working, people will be motivated to work responsibly, quickly and with high quality.

Working life isn’t 9-5 any more. The world is connected. Companies that do not embrace this are missing a trick.

Ma i commenti ovviamente non finiscono qui. Anzi ampliano il discorso dalla scelta specifica di Yahoo! (che ha risposto alle polemiche con un deciso “questo è quello che serve a Yahoo! oggi”), parlando anche di cosa è esattamente il telelavoro, quali sono i suoi pro e i suoi contro.

In questo interessante articolo di Herb Greenberg su LinkedIn Today, dal titolo Working from Home: The Good, the Bad & the Ugly, tira un po’ le somme su cosa significa lavorare da casa.

La sintesi che fa Greenberg, giornalista di CNBC, è che i lati positivi sono sicuramente meno tempo perso (non bisogna perdere tempo a fare il pendolare), meno spese e una maggiore quiete nel proprio ufficio casalingo.

I lati negativi sono, comprensibilmente, che si lavora sempre. Perdendo infatti il dualismo casa-ufficio, si perde anche l’interruzione fisica di due fasi distinte della propria giornata. Inoltre, e questo il punto focale della scelta di Yahoo!, è che non c’è il confronto creativo, casuale, fisico, che succede in ogni ufficio, nei corridoi e alle macchinette del caffè. Si può infatti cadere in un isolamento e alienazione che può aiutare sì lavoratori molto concentrati, ma che forse a lungo andare potrebbe penalizzare l’azienda come un gruppo complesso.

In Italia siamo sempre qualche anno indietro agli USA su questi temi, ma ne stiamo parlando sempre di più, soprattutto su aziende non di proprietà USA.

Forse è il caso di sfruttare questo dibattito anche per analizzare fin da ora i lati positivi e negativi di questa modalità di lavorare, e cercare di strutturare un sistema che sia ottimale per i lavoratori e per l’azienda.

Amitrano il viaggio se lo pagava da solo

Devo dire che questa storia non mi piace per nulla.

Quale storia? Quella degli studenti Erasmus, e di tutti quelli non iscritti all’AIRE, cioè temporaneamente all’estero ma con residenza ancora in Italia.
Ecco, per loro negli ultimi tempi c’è stata una grande mobilitazione, fatta in emergenza come nel più classico stile italico, per permettergli di tornare a votare.

Alla fine il Corriere titola così:

screenshot.1

E, per chi non l’avesse capito, riduzioni vuol dire che paghiamo noi per loro.

A me questa storia da molto fastidio, sì perché è stata molto ben strumentalizzata sia dal governo (leggi: il candidato Monti) sia dal PD (leggi: paura dell’astensionismo di chi avrebbe forse votato per loro).

Da fastidio perché tutti cianciano di diritto al voto, scordandosi però che per ogni diritto, in una democrazia, corrisponde un dovere.

Art. 48.

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Si sa, i doveri sono più facili se c’è qualcuno che paga per noi.

Me ricordate una cosa, Amitrano il viaggio per votare se lo pagava da solo.

"Rifatti la foto che sei peggiorato"...
“Rifatti la foto che sei peggiorato”…

Ma lui evidentemente aveva un’altra dignità…

Le armi e chi le usa

Si è fatto un gran parlare, ovviamente, della strage di Newtown.

Ovviamente non sono mancati gli stracciamenti di vesti, i retweet gonfi di lacrime e gli strali di tutti gli Indivanados che fuoriescono dal letargo ad ogni breaking news come questa.

Non è mancata nemmeno la vergognosa stampa italiana, che confonde Asperger, Autismo e psicosi varie come se fossero caramelle.
Per fortuna un grande giornalista come Gianluca Nicoletti ha scritto un pezzo meraviglioso, Un autistico non spara, in cui fa un poco di luce per difendersi da accuse ancora più pesanti, rispetto ad una situazione socio-politica già gravissima di suo per i parenti di persone con queste malattie.

Ma il punto non è nemmeno questo.

Il punto è che in ogni commento, status su Facebook, tweet o blog, c’è sempre quell’accusa agli Stati Uniti. L’accusa di essere un posto così perché “vendono le armi al supermercato” (anche se il Post ci spiega che non è propriamente così).

E dietro quell’accusa c’è sempre la sensazione di essere un paese migliore, perché da noi non ti danno tre pistole se sei uno psicopatico, non prendi uno shotgun se apri un conto in banca.

Da noi succedono solo cose come queste:

Sparatoria Napoli
Napoli, agguato camorristico in una scuola materna – Foto Oggi.

Da noi non sono i pazzi ad usare le armi, sono persone d’onore che si svegliano la mattina, prendono un pezzo dall’arsenale e vanno in una scuola elementare (come Newtown), entrano e ammazzano.
Ma non a caso o per follia, ma con lucida coscienza e volontà.

Fregandosene altamente dei bambini e dei loro genitori.

Siamo proprio sicuri di essere così superiori?