La birra, le tasse e la politica industriale

Questa storia è un esempio perfetto del perché tante cose in Italia non vanno.

Il motivo principale è l’incompetenza politica, che pensa stupidamente all’immediato. Senza capacità di programmare, perché non ha la capacità di comprendere, una politica industriale che serva a far crescere il paese.

Da qualche giorno infatti è partita la campagna #salvalatuabirra

Salva la tua birra

Il perché di questa campagna, promossa da AssoBirra, associazione di Confindustria dei produttori di birra e malto, è dovuto al fatto che il governo ha in progetto di aumentare del 35% le accise sulla birra.

I produttori giustamente protestano perché questo aumento significa che mentre ora di un euro di birra se ne va in tasse il 33%, con il nuovo aumento si arriverebbe al 47%, ovvero metà della birra che bevete la pagate in tasse!

Già questo basterebbe ad incazzarsi non poco, ma ho detto che questo è un esempio di incapacità a programmare una politica industriale.

Perché quindi questa storia tutta italiana di tasse è un case study? Partiamo da un presupposto: la birra per l’Italia è un ramo industriale strategico.

Perché? Perché storicamente l’Italia non ha una grande tradizione birraia, come ad esempio le nazioni mitteleuropee, o anche qualche paese dell’America o dell’Asia.

L’Italia è uno dei grandi produttori di vino, non di birra.

Quindi è un settore che va considerato strategico per un motivo: ha enormi margini di crescita.

Essendo famosi per il vino, nessuno ci considera per la birra, quindi facendo le cose fatte bene sia dal lato industriale che dal supporto statale, ci potrebbe essere un grande boom del settore.

Così è stato infatti negli ultimi anni.
Nonostante i due principali gruppi, Peroni e Moretti, siano passati in mano straniera (vuoi per incapacità politica di proteggere i marchi, vuoi per necessità di consolidamento del mercato), il mercato della birra italiana è in grande fermento (permettetemi il gioco di parole).

Infatti negli ultimi anni sono nate centinaia di piccole imprese e birrifici artigianali, è cresciuto un grande interesse per la bevanda anche dovuto alla possibilità di una facile autoproduzione.

Basta guardarsi attorno, e vedere come i pub si siano riempiti di birre artigianali, realtà come Baladin sono ormai diventate quasi mainstream e alcune birre artigianali ottime come quelle di Amarcord si trovano addirittura nei discount.

Personalmente conosco diverse persone che sperimentano la fermentazione casalinga, e i beer shop sono sempre di più.

Inoltre, sempre guardando dal lato della pianificazione strategica, la birra è un prodotto interno, visto che il 70% della birra bevuta in Italia è anche consumata qui. E questo significa che il circolo virtuoso è ottimale perché non solo i soldi restano qui, ma ci sono ulteriori margini per una possibile crescita verso l’estero, dopo un consolidamento industriale in Italia.

Su tutta questa situazione, ovviamente, arriva la mano dello stato.

Per quanto riguarda le tasse la birra è colpita dalle accise.  L’accisa è una imposta che colpisce alcuni prodotti particolari (alcoolici, tabacco, energia), legati ai monopoli statali.
L’accisa colpisce non il valore del bene (come l’IVA), ma la quantità della produzione (si paga a ettolitri o a chili), quindi ha un impatto diretto sui costi di produzione.

Tabella Accise

Il vino ha accise? No, ed è corretto che sia così, visto che essendo uno dei principali prodotti dell’industria alimentare, va incentivato, non frenato.
Il vino paga solo l’IVA.

La birra pero ha accise, non solo, ha accise altissime rispetto agli altri paesi UE, in particolare del principale competitor in questo settore: la Germania.

Questo differenziale già ora indebolisce la competitività a livello europeo della birra italiana,

Birra Germania Spagna

Osservando quindi tutta questa situazione, si hanno

  • grandi marchi italiani che però hanno lasciato le fabbriche qui e danno lavoro a migliaia di persone
  • un grande interesse imprenditoriale che ha portato all’apertura di centinaia di PMI birraie
  • una grande interesse commerciale, con decine di migliaia di consumatori che vogliono di più del solito peroncino
  • un settore in cui l’Italia è in una posizione di nicchia, quindi può solo aumentare

Insomma la situazione è ideale per eliminare quanto più possibile tasse, accise e altri oneri, favorire la produzione indipendente e far crescere le piccole e valide aziende birraie, aiutandole anche a mandare il loro prodotto all’estero, lì dove c’è spazio per vendere ottima birra italiana.

Produzione birra

Invece, ovviamente, no.
Avendo visto che c’è un grande giro d’affari, un settore in crescita, e pensando solo a raccogliere più tasse invece di tagliare le spese, si aumentano enormemente le accise sulla birra.

Non ci vuole un genio a capire che questa è la strada più facile, certo, ma è quella più folle, idiota e pericolosa.

Perché? Molto sempilce

  • ai grandi marchi, SABMiller e Heineken, non converrà più produrre in Italia la Peroni e la Moretti, la faranno dove si paga meno tutto
  • le piccole aziende vedranno i costi aumentare, oltre a tutte le altre difficoltà di fare impresa in Italia, e chiuderanno
  • i consumatori, in un periodo di crisi dei consumi, lasceranno il prodotto, o si rivolgeranno a marchi più grandi, esteri
  • i margini di crescita, interni ed esterni, saranno segati via, rendendo impossibile una crescita commerciale della birra italiana all’estero

Insomma si taglieranno le gambe ad un settore in crescita per fare pochi euro in più, o anche meno.

Ecco quindi completo l’esempio di stupidità legislativa e miopia industriale.

Lì dove l’unico intervento statale sarebbe supportare, detassare ed incentivare, proprio lì lo stato vede un settore che sta crescendo.
E vuole metterci le mani per arraffare quanto più possibile.

E come al solito, tra qualche anno, staremo tutti lì a parlare di un’altra grande occasione persa dall’Italia.

Ma la colpa, come al solito, sappiamo tutti di chi è.

#salvalatuabirra

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Famo la startap!

Più o meno dall’ultima fase della sua vita, e particolarmente dalla sua sovraesposta morte, l’Italia si è riempita di gente che pensa di essere come Steve Jobs.

E nemmeno nella sua fase più importante di visionario innovatore, no, proprio nella sua interpretazione più semplice: l’imprenditore che ha un’idea, che nasce dal nulla. Si potrebbe anche parlare di self made man, ma il termine fu già ampiamente abusato nel nostro paese durante gli anni della Milano da bere, quindi è meglio restare focalizzati solo sull’idea.

Mitizzando, come spesso succede in Italia, le opere del fondatore della Apple, è scoppiata la mania delle startup.

Un sacco di gente, che è convinta di essere geniale come Steve ma solo nata nel paese sbagliato, ha iniziato a parlare di creatività, idee innovative. E, appunto, di fare una startup. Tutti ne parlano e tutti hanno un idea.

E tutti si lamentano che la loro idea non trova fondi.

Eh… ma se nascevo in America, lì sì che investono nelle grandi idee!

Tutte queste sono parole al vento, naturalmente.
Perché un paese come l’Italia che ha sempre visto male la figura dell’imprenditore, che pensa che le PMI siano una risorsa (invece è una iattura), che non fa nulla per incentivare l’impresa privata, aumentando il potere delle controllate pubbliche, che cultura imprenditoriale può generare?

Vi faccio un esempio concreto di quello che succede proprio negli USA, il paradiso delle startup.

Questo è uno screenshot di Inc.com, uno dei siti principali che raccontano il mondo del business a stelle e strisce. In particolare quello high tech, ma i suoi articoli sono molto generici e orientati al mondo degli affari a tutto campo.

INC. Startup

La prima voce del menu principale del sito è proprio Start-up.
Giustamente a Inc. sanno molto bene che l’inizio di tante cose, in particolare nel mondo tecnologico, è una piccola idea nata in una piccola società.

Ma la vedete qual è la prima voce del sottomenu? Scrivere un Business Plan.

Prima di qualsiasi altra cosa, prima addirittura del nome della startup. Perché senza avere un business plan non si va da nessuna parte.

Senza avere un business plan non troverete mai nessuno che vi darà una lira.

Qualche tempo fa (mi pare proprio nei giorni della morte di Jobs, probabilmente parlando del libro Se Steve Jobs fosse nato a Napoli), da Gianluca Nicoletti a Melog su Radio 24 discutevano diversi esperti del settore. Tra loro anche un italiano, che lavora come ventur capitalist a Londra in una società di angel investor, con particolare attenzione al mercato italiano.

Ecco, questa persona ha detto chiaro e tondo che gli arrivano tanti italiani a chiedere soldi. Magari anche con idee buone e interessanti, ma che non hanno un business plan concreto, e spesso non hanno nemmeno idea di cosa sia.

Come possono quindi queste persone pretendere che qualcuno gli dia soldi, se non gli spiegano prima come farà a riaverli indietro, e auspicabilmente a guadagnarci qualcosa?

Sì perché la rivelazione sorprendente non è che basta avere un’idea (di quelle ce ne sono in giro anche troppe), ma bisogna spiegare a che serve e come farla fruttare.
Perché il capitalismo (di questo stiamo parlando, visto che il paradiso degli startupper sono gli Stati Uniti), è un sistema che mira a fare soldi.

Quindi la vostra idea brillante è brillante sì, ma perché serve a far guadagnare. E se trovate uno che di mestiere finanzia le imprese, non sta facendo beneficienza, sta cercando una via per far fruttare i suoi soldi. E la via siete voi.

La colpa di questa situazione è sicuramente un sistema culturale che, come detto, tutto fa tranne che incentivare l’impresa privata (non mi dite delle società che si possono aprire con un euro, ve prego… è la prova che si lavora contro l’impresa non a favore).  Che non spiega come strutturare passi elementari ma fondamentali come il business plan, che non attiva percorsi di formazione e incubazione concreti, magari anche con fondi pubblici (e ci sono eccome…).

Però la colpa principale è sicuramente di chi ha l’arroganza di aver capito tutto, e che fa la povera vittima con l’idea geniale che nessuno capisce. Che “se fossi nato in USA…

Sarebbe uguale, gli avrebbero chiuso la porta in faccia lo stesso.

Vi do un bel consiglio, quando parlate con uno di questi grandi imprenditori in erba, incompresi e frustrati perché nessuno capisce il loro genio, fategli una semplice domanda: mi fai vedere il business plan?

Se vi guardano come se foste un alieno, andatevene e lasciateli a leggere Millionaire.

E a rodersi il fegato.