E dove altro dovremmo andare?

C’è un aspetto, nella storia del matrimonio tra due uomini che è stato riconosciuto dal tribunale di Grosseto, che mi ha colpito particolarmente.

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Non è tanto nella storia in se, visto che probabilmente la decisione non è legittima. Dico questo perché un atto legale straniero deve essere riconosciuto valido in Italia dopo verifiche normative.

Pensiamo alle lauree. Molte nazioni le vendono letteralmente, e mandano bei fogli di carta con tanto di bolli e firme. Ovvio però che l’Italia non può riconoscerne il valore legale qui solo perché sono valide nell’altro stato. Va fatto un percorso di verifica della serietà dell’atto e di ratifica della validità del titolo. A maggior ragione se è una cosa che, piacente o meno, va contro il nostro attuale ordinamento legale.

Non è questo il punto. Il punto è stata la reazione della CEI, anzi andando ancora più in dettaglio le parole utilizzate nella reazione della CEI.

Hanno detto infatti

Il tentativo di negare questa realtà per via giudiziaria rappresenta uno strappo, una pericolosa fuga in avanti di carattere fortemente ideologico.

Tralascio che la realtà è quella per loro, ora non so se le parole sono state dette d’impeto o pensate.
In ogni caso è molto interessante il loro uso.

Perché quello che mi sono chiesto è: se non dovremmo andare avanti, dove altro dovremmo andare?

C’è da capire quindi i vescovi cosa intendono per fuga in avanti.

Sì perché se è una cosa per loro positiva, allora in quelle parole c’è l’accettazione di un naturale (e non uso questa parola a caso…) progresso dei diritti civili di tutte le nazioni che si dicono, almeno a parole, democratiche.

Se è una cosa negativa, allora loro si mostrano come una forza non conservatrice (cioè che mira al mantenimento dello status quo attuale), ma addirittura retrograda, cioè che vuole tornare indietro. Alla messa in latino, ma anche al delitto d’onore, al matrimonio riparatore, all’aborto fatto dalla vecchia del paese con un asciugamano e una stampella di ferro.

Spero vivamente che sia la prima di queste ipotesi. Perché è avanti che dobbiamo andare, e prima o poi, nonostante la loro resistenza, ci arriveremo.

Dove altro dovremmo andare se no?

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Bastava Google

Antonio Gentile è coinvolto in una delle storie più incredibili e allo stesso tempo affascinanti di questi ultimi giorni.Antonio Gentile

Il figlio, come tanti figli di papà di potenti locali o nazionali, è coinvolto in una storia abbastanza sgradevole. Lui, come tanti papà potenti locali o nazionali si preoccupa di non lasciar fuoriuscire questa storia.

Fin qui nulla di che, se non il sapore un po’ antico del buon nome della famiglia, soprattutto al sud.

Infatti lo “scandalo” non sarebbe stato a livello nazionale, ma ricondotto in una cerchia molto locale. Il giornale coinvolto, quello che aveva in canna lo scoop sul figlio del noto senatore locale, era infatti l’Ora della Calabria. Quotidiano che penso nessuno abbia mai sentito, se non quelli che frequentano quelle zone.

La storia comincia a diventare affascinante quanto si inizia a muovere la macchina del potere per fermare la diffusione della notizia. Come al solito queste cose non avvengono mai direttamente, ma sempre per vie trasversali, tramite amici di amici, che conoscono amici che casualmente conoscono l’editore dell’Ora.

Ma Luciano Regolo, il direttore dell’Ora, è un bravo giornalista che sa fare il suo mestiere (cit.), e quindi resiste alle pressioni dicendo che no, l’articolo uscirà perché la notizia c’è.

Ed ecco il momento in cui la storia vira dal fascino all’incredibilità.

L’editore chiama lo stampatore del quotidiano e fa bloccare le rotative!

Come se fossimo ancora ai primi del novecento, quando l’unica fonte di notizie e collegamento tra le persone era la stampa fisica di un po’ di inchiostro su un pezzo di carta, questi pensavano che facendo così, simulando il solito guasto, nulla sarebbe uscito dalle stanze fumose della redazione.

Il giornale non è uscito, vero, ma trenta secondi dopo il direttore ha acceso il suo pc e ha scritto sul sito tutta la storia. Che è stata rimbalzata, ripresa, derisa e commentata su tutti gli altri organi di informazione, social network, televisioni e radio

Trasformando quindi quella che poteva rimanere come una semplice storia locale in un caso nazionale sulla libertà di stampa.
E sui ridicoli metodi per cercare di fermarla, aggiungerei io.

Tutto questo succedeva circa il 20 febbraio. Una settimana dopo Gentile viene nominato sottosegretario ai trasporti nel “nuovo” governo Renzi.

Ovviamente succede un casino, il PD e i giornalisti insorgono, il Fatto Quotidiano ci sguazza, e alla fine Gentile si dimette.

Politicamente, alla fine di questa assurda storia italica, chi ne esce vincitore è però Alfano, non Renzi.
È Alfano infatti che sacrifica un suo sottosegretario che, di fatto, non risulta indagato né aver fatto nulla di illegale. È Alfano che oggi può dire con orgoglio “prima viene l’Italia”.

Ma Renzi, che sta sempre a twittare che legge i dossier di prima mattina, Renzi che ha fatto una campagna sul punto di governo giovane. Renzi che sicuramente si sarà messo d’accordo con Alfano per avere una lista di nomi da assegnare a NCD, che comunque ne ha diritto a dei componenti perché appoggia il governo.

Renzi che quei nomi li avrà letti e avrà anche discusso per scremarli un po’. Renzi che poteva anche mettere un veto su questo nome, avendo un minimo di lungimiranza politica per capire cosa sarebbe successo.

Non ci voleva molto a sapere chi era Gentile e che cosa era successo proprio qualche giorno prima.

Bastava Google.

Metodo, metodo, metodo

Arrivo tardi nel fare questi paragoni, ma il fatto è che finché non vedo una prova concreta mi fido poco delle impressioni (e sbaglio ovviamente).
Tutti a dire “Renzi è come Berlusconi, Renzi è come Berlusconi“.

Vedevo in effetti una gran parte di fuffa aziendal-marketingara, ma mancava la certezza del cadavere (cit.) Ora c’è.

Abbiamo dovuto aspettare le nomine, il giuramento, l’incoronazione ma poi è arrivato questo tweet

Metodo, dossier, visone alta, concretezza. Tutta roba che trovate bella evidenziata in qualche powerpoint da presentare al CdA.

Tutta roba, ovviamente, che non significa nulla. Ma fa tanta scena.

Sì perché il paragone c’è, ma Renzi non è come Berlusconi.

Renzi è come la sua caricatura: Carcarlo Pravettoni.

Pravettoni

Tanti auguri a tutti.

Roma, Alemanno, Marino e il potere

La situazione della Capitale è sotto gli occhi di tutti, non solo per questo periodo di maltempo e pioggia continua (curioso in inverno…), quanto per lo stato di paralisi, politica e soprattutto operativa, in cui versa l’amministrazione della città. Ultimissima notizia il decadimento di un gioiello espositivo come il MACRO, rarissimo esempio di struttura degna di una capitale europea, inserita in un contesto sociale e strutturale degno di una capitale del terzo mondo.

Non sono mai stato un fan del sindaco Marino, ma era ovvio che dopo la disastrosa era Alemanno non poteva che vincere lui. Questo forse è stato l’errore “padre” politico del Partito Democratico. Quello cioè di non saper proporre una figura potente, degna davvero di donare a Roma il prestigio che merita e capace di valorizzarla e farne un esempio del resto del paese.  Questo la dirigenza locale e nazionale del PD non ha saputo farlo.

Memori forse della cocente sconfitta del turno precedente, quando un Rutelli in modalità minestra riscaldata (era quello delle felpe “non è il mio sindaco”, non scordiamocelo) fu fatto sbattere proprio contro un Alemanno al massimo della sua carriera e forza politica (era apprezzato pure da Luttazzi, tanto per dire…).

I grandi punti deboli di Marino erano due:

  1. scarsa conoscenza della città, del suo tessuto socio-politico e dei suoi meccanismi di funzionamento
  2. scarsissima forza politica all’interno del proprio partito

Questi erano ben evidenti a tutti, e sono diventati palesi

Ma cos’è che Marino non ha fatto subito, invece di buttarsi anima e corpo (e soldi nostri) nella buffonata della “pedonalizzazione” dei Fori?

Non ha fatto come Alemanno.

Alemanno quei due punti deboli di Marino li aveva sì, ma al contrario come punti di forza.

Era forte nel suo partito e conosceva benissimo i meccanismi di funzionamento della città. Talmente bene che durante i primi cruciali mesi del suo mandato ha blindato i luoghi del potere con i suoi fedelissimi. Facendo in modo di governare e controllare tutto.

Proprio in quel periodo, usciva questo libro-inchiesta di Claudio Cerasa

La presa di Roma

Cerasa racconta, qui trovate l’introduzione, proprio con quale metodo e sistematicità Gianni Alemanno e i suoi hanno smontato pezzo a pezzo le roccaforti del potere “rosso” romano. E questo ancora prima delle elezioni, non dimentichiamo che Alemanno è stato votato anche da molte persone di sinistra. Illustra con quale abilità, ma soprattutto conoscenza, Alemanno abbia portato a se i vari gruppi di potere (palazzinari, dirigenti pubblici e delle municipalizzate, la chiesa, i tassinari), andando prima a fare terra bruciata di quasi vent’anni di governo “rosso”, e poi a costruire sopra le sue, di roccaforti.

Il libro non è solo un’analisi dell’operato politico dell’ex primo cittadino di Roma Capitale (altro segno, il cambio di nome del comune), quanto proprio una mappa dei vari potentati e mafiette che, come naturale in ogni organizzazione italica, detengono realmente il potere a Roma.

Alemanno ha potuto fare tutto questo perché sapeva con chi andare a parlare e aveva l’autorità per farlo.

Marino purtroppo queste cose non le sa. Ci ha provato all’inizio a cambiare qualcosa, almeno laddove identificava aree più critiche come ad esempio i vigili urbani, ma ha rimediato solo figuracce su figuracce.

Per non parlare del resto, la giunta è sempre sul punto di esplodere per le ridicole ripicche dei partiti che compongono la maggioranza. Il tutto ovviamente non fa altro che sminuire la forza politica di Marino, che si ritrova sempre più isolato e con altri che prendono decisioni al posto suo.

Delle municipalizzate poi nemmeno parlo, l’Ama è allo sbando (e ricordiamo che l’interlocutore principale di Cerroni era Di Carlo…) e l’Atac ha sì un manager degno di questo nome, ma se non vengono toccate le logiche dirigenziali interne ci sarà poco da fare.

Certo, detto tutto questo c’è da dire però che Alemanno non è stato rieletto. Come ho scritto prima la sua era è stata disastrosa.

Disastrosa perché pur avendo mosso con sapienza tutte le leve giuste, alla fine è rimasto invischiato nei favori agli amici che lo avevano messo lì, nella sua incapacità reale di affrontare almeno i problemi base dei romani (Veltroni con tutte le feste e le case almeno manteneva i servizi in uno stato accettabile), nella sua foga di potere dopo anni e anni di attesa. Senza contare il fallimento più grande di una personalità politica di destra: la sicurezza. Dopo aver fatto campagna elettorale su quel tema (e anche meschinamente su qualche morto), Roma è stata del tutto abbandonata a se stessa, fino ad arrivare ad uno stato di rischio e vuoto di controllo estremo come in questi giorni. Un luogo dove ognuno fa quello che vuole, violando regole, leggi e a volte anche mettendo a rischio la vita delle altre persone.

Alemanno, e il libro di Cerasa lo fa capire, non aveva un’idea di città, ma solo di potere. Tutto questo ha portato ad una sconfitta certa, anche se ritengo che essere arrivato al ballottaggio è stata comunque un successo politico, visti i precedenti. A Marino non è andata bene sicuramente, per l’enorme peso dell’eredità di Alemanno e di tutti i suoi guai da risolvere.  Ma non aveva, e purtroppo non ne ha ancora, la capacità di risolverli, quei problemi.

Magari poteva leggersi La presa di Roma dopo essere stato eletto, ma forse sarebbe stato troppo tardi comunque.

A tutti i romani come me non posso che dire una cosa: tanti auguri.

… temo Berlusconi in me.

Diceva Giampiero Alloisio citato da Gaber.

Questa è la verità della situazione italiana. Perché non è pensabile ancora sostenere che sia Renzi a riabilitare Berlusconi.
Riabilitare da cosa poi, visto che nessuno lo ha mai disabilitato.

Infatti, il Corriere.it ora pubblica questo

Corriere.it Berlusconi

Notare la specificazione anche private”.

Passando da Gaber a Moretti:

Berlusconi ha già vinto vent’anni fa con le televisioni.
Ci ha cambiato la testa.