Vivere nella tua pelle americana

Amadou Diallo è uno studente della Guinea che vive a New York, nel Bronx.
Ha girato un po’ in tutto il mondo, seguendo la sua famiglia: a Bangkok, Singapore, Londra e ora nella Grande Mela.

Il suo sogno era quello di restare negli Stati Uniti e diventare cittadino americano.
Durante il giorno fa il venditore ambulante in giro per le strade, e la sera studia (o almeno ci prova).

Una mattina, il 4 febbraio del 1999, Amadou sta camminando verso casa quando lo affianca un’auto civetta della polizia, con quattro poliziotti in borghese.

I quattro osservano Amadou, e lo scambiano per uno stupratore ricercato da tempo, considerato armato e pericoloso.

I poliziotti si identificano, gli urlano di fermarsi e mostrare le mani.
Amadou è spaventato, forse non capisce, forse non si fida. La vita per le strade del Bronx alla fine degli anni 90 era ancora molto difficile.

Scappa verso casa sua, si rifugia nel suo androne, inseguito dai quattro poliziotti che ormai hanno estratto le armi e tolta la sicura.
Entra nell’androne, ma le luci sono mezze spente e Amadou ha solo una forte luce dietro di se, i poliziotti sono abbagliati vedono solo una silhouette stagliarsi nell’edificio.

Amadou, spaventato, forse pensando ad una rapina, tira fuori dalla tasca il suo portafoglio.

Uno degli agenti grida “Gun!!”

I quattro aprono il fuoco, colpendo Amadou 19 volte, ma scaricandogli addosso 41 colpi.

Amadou non aveva armi con se. Solo il suo portafoglio.

E, ovviamente, era nero.

Time Amadou Diallo

41 shots
Lena gets her son ready for school

She says, “On these streets, Charles
You’ve got to understand the rules
If an officer stops you, promise me you’ll always be polite
And that you’ll never ever run away
Promise Mama you’ll keep your hands in sight”

Perché tutta questa storia? Per dire che la versione studio di American Skin (41 Shots), pubblicata nel nuovo album di Bruce Springsteen è una versione stupenda di una delle più belle canzoni del Boss.

Visto che online ancora non c’è, beccatevi comunque questo live.

Pubblicità

Perché? Non mi piacciono i lunedì.

Quel lunedì mattina del 29 gennaio 1979 Burton Wragg, il preside della Scuola Elementare Cleveland a San Diego, stava per aprire le porte di ingresso della scuola, mentre sul piazzale continuavano ad arrivare i bambini, per iniziare una nuova settimana di lezioni.  Con lui c’era Mike Suchar, il custode della scuola.

Dall’altro lato della strada ci sono delle abitazioni.

In una di queste abita Brenda Ann Spencer, una ragazza di sedici anni.

And nobody’s gonna go to school today,  she’s gonna make them stay at home.

Brenda Ann è una ragazza un po’ ribelle, come molti adolescenti. Non rispetta le autorità, come molti adolescenti. Ha problemi di depressione e tendenze al suicidio, come alcuni adolescenti.

Ma ha qualcosa in più rispetto a tanti altri adolescenti problematici. Brenda Ann ha un fucile Ruger calibro 22 semiautomatico, donatole dal padre a Natale.

The silicon chip inside her head gets switched to overload.

Quella mattina Brenda Ann prende il suo fucile, lo punta fuori dalla finestra, guarda dentro il suo mirino telescopico. E spara.

Burton e Mike si gettano sui bambini cercando di proteggerli. Moriranno entrambi mentre otto bambini e un poliziotto arrivato sulla scena verranno colpiti, ma riusciranno a cavarsela.

And he can see no reasons.  ‘Cos there are no reasons. What reason do you need to die?

Brenda Ann in tutto spara trenta colpi, per poi barricarsi dentro casa, ormai circondata dalla polizia, per sette ore.
Poi si arrende, viene arrestata e condannata all’ergastolo.

Sweet 16 ain’t that peachy keen, now that ain’t so neat to admit defeat.

Durante le fasi della sua cattura qualcuno gli chiede perché abbia sparato, perché abbia ucciso due persone e ferito dei bambini.

Lei risponde: perché non mi piacciono i lunedì.

Tell me why? I don’t like Mondays.

I wanna shoot the whole day down, down, down, shoot it all down.

Now that the show is over…

Now that the show is over, and we have jointly exercised our constitutional rights, we would like to leave you with one very important thought.

Some time in the future, you may have the opportunity to serve as a juror in a censorship case or a so-called obscenity case.

It would be wise to remember that the same people who would stop you from listening to Boards of Canada may be back next year to complain about a book, or even a TV program.

If you can be told what you can see or read, then it follows that you can be told what to say or think. Defend your constitutionally protected rights – no one else will do it for you.

Thank you.

Looking out of the window, staying out of the sun

Non sono propriamente un patito di musical. Mi piacciono come idea sì, ma alla fine sono molto selettivo sulle singole opere, e alla fine ne scarto parecchie.

Quelli che mi piacciono di più sono indubbiamente i lavori di Sir Andrew Lloyd Webber, soprattutto per i testi del suo “socio” Tim Rice.

Perché alla fine è importante l’ambientazione e molto importante la musica, ma visto che il musical è fondamentalmente un’opera teatrale cantata, la cosa più importante di tutte è senza dubbio il testo.

Uno dei passaggi più belli è contenuto non a caso in una delle opere più belle, Evita, in una delle canzoni più belle, Don’t Cry for Me, Argentina.
La riporto qui nella sua interpretazione più bella (non me ne vogliano i fan di Sarah Brightman), quella di Madonna nel film di Alan Parker.

Il testo è meraviglioso e struggente, un vero grido d’amore di una donna alla sua nazione, un grido che elimina tutto il superfluo della politica, delle polemiche e dei mezzi (qui fin troppo romanzati) usati dalla signora Duarte in Peron. E tolto il superfluo quello che resta è solo una speranza di una donna sola che ama il suo popolo e vuole essere amata:

I love you, and hope you love me.

Questa canzone racchiude una piccola perla, che passa spesso nascosta se chi la ascolta non è di lingua inglese (anzi British English), ma che dimostra l’enorme abilità di Rice nello scegliere ed usare le parole per esprimere sentimenti, emozioni e raccontare delle storie.

You won’t believe me.
All you will see is a girl you once knew,
although she’s dressed up to the nines,
at sixes and sevens with you.

Rice usa in modo meraviglioso due forme idiomatiche che rappresentano un concetto con dei numeri, e mettendole insieme non solo rende l’idea dello stato d’animo di Evita, ma lo fa musicalmente e poeticamente.

Evita, dice lei, è una ragazza che la popolazione argentina una volta conosceva (come umile, si sottintende). Ora  però è dressed up to the nines, cioè è vestita a festa, da noi si direbbe con l’abito della domenica. Eppure, anche se ripulita e arricchita, lei è sempre in contrasto con quella nazione che l’ha fatta soffrire e trattata male da giovane, ma anche nel momento in cui dice queste parole. Evita è at sixes and sevens con loro, cioè è confusa, non va d’accordo.

Dal testo emerge una donna che ama realmente il suo paese, che vorrebbe il bene di tutti i suoi concittadini, ma che non capisce (o fa finta di non capire) perché ha un rapporto così turbolento con loro.

Lei li ama, oltre la fama e il successo, e spera solo di essere amata.