Ma quale meritocrazia volete?

In Italia si parla continuamente di meritocrazia.

Di come è bella quella dei paesi anglosassoni, di come funziona tutto bene quando c’è, di come dovremmo attivarla anche qui da noi, di come tutti sarebbero contenti perché le loro capacità sarebbero davvero valorizzate.

Ma siamo (o meglio siete) veramente sicuri che sia così?

Vorrei sfatare un falso mito che viene portato avanti da tempo:

in Italia la meritocrazia c’è.

Bisogna soltanto mettersi d’accordo sul metro per misurare il merito. Sì perché è facile dire che vanno avanti quelli bravi. Ma bravi a fare cosa?
In Italia vanno avanti quelli bravi, su questo non c’è dubbio, ma vanno avanti quelli bravi ad avere conoscenze, parentele, agganci. Quelli bravi a vendere, a vendersi e a comprare.

Vanno avanti gli amici di amici.

Quindi mi dispiace, ma un regime meritocratico c’è eccome. Non avete i meriti di cui sopra? Allora vuol dire che siete fuori, che non riuscite a competere, che verrete scavalcati da chi riesce meglio di voi. Meritocrazia piena insomma.

Ora ovviamente dite che questo sistema non va bene. Ma lo dite perché, secondo questo sistema, voi siete fuori.

Parliamo allora di quello che c’è nel mondo anglosassone.
Per lo meno nella maggioranza di quel mondo, perché non è che lì le conoscenze e gli amici non servano, ma almeno servono in maniera minoritaria.

Ma siete sicuri di volere quel sistema? Lo conoscete bene o ne avete solo una visione mitologica?

Un’ottima descrizione di quel sistema ce la da il blog di italiansinfuga, con l’articolo La cruda realtà della meritocrazia.

Quindi cos’è questa cruda realtà? Cos’è questa brutalità di cui parla chi conosce molto bene quel sistema?
Vediamo qualche esempio:

Meritocrazia vuol dire che il 110 e lode può aiutarti a trovare un lavoro ma dal primo giorno di lavoro in poi non conta più nulla.

Meritocrazia vuol dire che il collega/concorrente cinese, pachistano o messicano ha le tue stesse possibilità.
Se lui o lei produce meglio e più in fretta di te, hai voglia a richiedere ‘meritocrazia‘!

Meritocrazia vuol dire che il tuo capo/capa sarà più giovane e intelligente di te. A me è successo spessissimo. Siete in grado di prendere ordini da chi ‘anagraficamente’ “merita” di meno?

Meritocrazia vuol dire che il titolo universitario ‘inutile’ (non richiesto dal mercato del lavoro) non vi garantisce il lavoro anzi.

Come si dice, qui casca l’asino.

Sì perché il buon Aldo svela, molto chiaramente e direttamente, il succo della meritocrazia anglosassone.
Cioè che va avanti di più, e guadagna di più chi produce di più. Non solo, ma va avanti anche quello che ha scelto il giusto percorso di studi, rispetto alle reali necessità del proprio paese.

Dico subito che anche io sono d’accordo con questo sistema, lo ammiro molto e sono profondamente convinto che possa realmente aiutare a portare avanti una nazione.

Ma la porta avanti perché vanno avanti quelli bravi, e questo significa, inevitabilmente, che restano indietro quelli incapaci.

Dobbiamo (torno al plurale) essere consci di questo, specialmente in un paese in cui domina l’omologazione e l’invidia.

Dobbiamo essere consci che questo sistema meritocratico aumenta sì la crescita e l’efficienza, ma lo fa aumentando la qualità del lavoro non la quantità.

Perché è vero, come dice il blog che

Certo che se sei brava e ti impegni allora la meritocrazia è un paradiso!

Però è anche vero che il numero di chi resta indietro, dei precari, di chi fa un lavoro generico pur avendo una specializzazione (inutile), probabilmente aumenterà.

E questo concetto deve essere molto, molto chiaro.

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Amitrano il viaggio se lo pagava da solo

Devo dire che questa storia non mi piace per nulla.

Quale storia? Quella degli studenti Erasmus, e di tutti quelli non iscritti all’AIRE, cioè temporaneamente all’estero ma con residenza ancora in Italia.
Ecco, per loro negli ultimi tempi c’è stata una grande mobilitazione, fatta in emergenza come nel più classico stile italico, per permettergli di tornare a votare.

Alla fine il Corriere titola così:

screenshot.1

E, per chi non l’avesse capito, riduzioni vuol dire che paghiamo noi per loro.

A me questa storia da molto fastidio, sì perché è stata molto ben strumentalizzata sia dal governo (leggi: il candidato Monti) sia dal PD (leggi: paura dell’astensionismo di chi avrebbe forse votato per loro).

Da fastidio perché tutti cianciano di diritto al voto, scordandosi però che per ogni diritto, in una democrazia, corrisponde un dovere.

Art. 48.

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Si sa, i doveri sono più facili se c’è qualcuno che paga per noi.

Me ricordate una cosa, Amitrano il viaggio per votare se lo pagava da solo.

"Rifatti la foto che sei peggiorato"...
“Rifatti la foto che sei peggiorato”…

Ma lui evidentemente aveva un’altra dignità…

La produttività e il tempo

Produttività, produttività produttività!

Non posso proprio esimermi dal parlarne anche io, visto che è uno degli argomenti su cui mi interrogo più spesso, sia al lavoro che fuori.
Anzi inizio qui una serie di post dedicati all’argomento, che affronteranno diversi aspetti della realtà lavorativa

Nel caso in oggetto, quando si chiede come aumentare la produttività (che significa come lavorare meglio, tanto per mettere le cose subito in chiaro), di solito la risposta principale che esce fuori dai grandi professori o tecnici è lavoriamo di più.
Come diceva Quelo: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata.

Adoro questo video, e in questo caso è perfetto:

La sintesi del video è proprio nel titolo: Andate a casa, cazzo!

Il tempo non è una cosa da sottovalutare o usare senza ragionamento. Non è una risorsa banale da usare a piacimento solo perché non si è capaci di analizzare le metodologie di lavoro e riuscire a capire dove intervenire per migliorare il processo. No, si dice che io in otto ore produco x, quindi se lavoro sedici ore produrrò x moltiplicato due.

Questo calcolo sembra banale e idiota, e infatti lo è.

Certo, sembra sensato a chi fa (o meglio, è nominato) grande project manager e inserisce le sue risorse in un gantt su Project.
Sulla carta il tempo è una risorsa come un altra, quindi se l’aumento mi aumenteranno di conseguenza tutti gli altri valori.

Non cadete in questa trappola. Come dice Pam Selle nell’ignite, andate a casa, usate il vostro tempo per fare cose che servono a voi.

Non è preciso dire che il tempo è denaro.

Il tempo è l’unico denaro esistente.

Tutti noi, che siamo Warren Buffet, Barack Obama o l’ultimo dei barboni che dormono dentro la stazione di Mumbai, abbiamo a disposizione 24 ore ogni giorno.

Il tempo è una risorsa:

  • unica
  • non rinnovabile
  • non aumentabile
  • non vendibile né comprabile

È giusto dedicare del tempo al lavoro, ma una quantità che sia conforme a quanto veniamo pagati. E in ogni caso deve essere ben chiaro che quel tempo noi non lo riavremo mai più.

In uno dei film più belli degli ultimi decenni, Wall Street, Michael Douglas/Gordon Gekko dice una frase memorabile:

I’m talking about liquid. Rich enough to have your own jet. Rich enough not to waste time. Fifty, a hundred million dollars, buddy. A player. Or nothing.

Chi ha tanto potere, ricchezza e soldi sa benissimo il valore del tempo, sa che più si hanno risorse economiche più puoi dare valore alle 24 ore che compongono ogni giorno di ogni essere umano sulla terra. Gekko incluso.

Perché sanno che puoi comprare tutto, ma non tempo in più. Quindi non sprecare il tempo vuol dire godersi la vita in pieno, vuol dire fare quello che si vuole quando si vuole e come si vuole. Certo, i ricchi sono molto più facilitati a farlo, ma nel nostro piccolo tutti possono fare un bilancio della propria giornata e scegliere cosa fare.

Non fatevi fregare, il vostro tempo è la ricchezza più preziosa. Ne avete come l’uomo più ricco o potente della terra.
Non fatevi ingannare da qualche stupido manager che pensa che se state dieci ore davanti al PC produrrete di più che standocene otto.

Lui non ha la più pallida idea di che vuol dire gestire il lavoro delle persone, non sa come si fa a capire quanto lavora una persona. Vede solo degli stupidi numeretti su un foglio Excel, li aumenta e vede il totale che aumenta. E pensa di aver trovato l’uovo di Colombo.

Povero idiota. Lui e tutte le aziende italiane che vanno a picco perché gestite da gente di questo livello.

Andate a casa.
Cazzo.

Le armi e chi le usa

Si è fatto un gran parlare, ovviamente, della strage di Newtown.

Ovviamente non sono mancati gli stracciamenti di vesti, i retweet gonfi di lacrime e gli strali di tutti gli Indivanados che fuoriescono dal letargo ad ogni breaking news come questa.

Non è mancata nemmeno la vergognosa stampa italiana, che confonde Asperger, Autismo e psicosi varie come se fossero caramelle.
Per fortuna un grande giornalista come Gianluca Nicoletti ha scritto un pezzo meraviglioso, Un autistico non spara, in cui fa un poco di luce per difendersi da accuse ancora più pesanti, rispetto ad una situazione socio-politica già gravissima di suo per i parenti di persone con queste malattie.

Ma il punto non è nemmeno questo.

Il punto è che in ogni commento, status su Facebook, tweet o blog, c’è sempre quell’accusa agli Stati Uniti. L’accusa di essere un posto così perché “vendono le armi al supermercato” (anche se il Post ci spiega che non è propriamente così).

E dietro quell’accusa c’è sempre la sensazione di essere un paese migliore, perché da noi non ti danno tre pistole se sei uno psicopatico, non prendi uno shotgun se apri un conto in banca.

Da noi succedono solo cose come queste:

Sparatoria Napoli
Napoli, agguato camorristico in una scuola materna – Foto Oggi.

Da noi non sono i pazzi ad usare le armi, sono persone d’onore che si svegliano la mattina, prendono un pezzo dall’arsenale e vanno in una scuola elementare (come Newtown), entrano e ammazzano.
Ma non a caso o per follia, ma con lucida coscienza e volontà.

Fregandosene altamente dei bambini e dei loro genitori.

Siamo proprio sicuri di essere così superiori?

Uno su otto

Business Insider ha pubblicato un articolo-scheda molto interessante sul re degli hamburger (quello vero): 18 Facts About McDonald’s That Will Blow Your Mind.

McDonald's Logo

L’articolo, come gli altri pubblicati da BI, non si focalizza sui soliti numeri su quanti panini assemblano o quanto sale c’è nelle patatine per farti comprare più bibite annacquate.
Da invece numeri molto interessanti sul giro d’affari aziendale e soprattutto sul numero dei lavoratori, e loro tipologia.

Il fatto che ha davvero “blew my mind” è stato questo:

According to company estimates, one in every eight American workers has been employed by McDonald’s

Questo dato, unito a quello che il turnover annuale in USA dei lavoratori McDonald’s è del 150%, è estremamente significativo di come funzionano le cose.
Anzi è il dato che ci mostra come il dinamismo sia uno dei fattori chiave della prima economia del mondo. E non a caso.

Perché dire che un lavoratore americano su otto ha messo la verdura sui Big Mac vuol dire che fare quel lavoro è utilissimo per entrare in un’ottica lavorativa il prima possibile, esattamente come si diceva qui l’altra volta, e anche che il mindset di chi fa quella scelta non è certo quello di restare lì a vita (almeno non tutti). Ma solo di iniziare a capire le logiche di un ambiente che prenderà gran parte della propria vita, e che permetterà di poter fare delle scelte indipendenti.

Ci guadagnano anche loro? Ma certamente, il dato del turnover lo dimostra. Del resto non puntano ad un lavoro altamente qualificante, ma che sia efficiente, a basso costo e in gran numero per far fronte alle richieste dei clienti.

Conosco diverse persone che hanno lavorato lì, magari proprio come primo lavoro, e con soddisfazione. Anche perché da quel tipo di lavoro si capiscono molte cose, essendo a contatto con la clientela e con standard qualitativi molto alti. Ma conosco anche gente che “non ci metterei mai piede”.

Senza entrare nel merito qualitativo (ma ne parlerò, fa parte del quadro generale), è evidente come aziende di questo tipo possano essere molto utili come strumento di supporto ad un necessario cambiamento di mentalità, che non può più essere quella dei trentamila ai concorsi all’Ergife.

Invece qui gli facciamo la guerra da venticinque anni, o siamo contenti quando chiude.

Aggiornamento: Daniele su Facebook mi suggerisce un bell’articolo del Sole che descrive dall’interno il funzionamento e i livelli qualitativi di un McDonald’s. Lo segnalo perché è significativo di quanto effettivamente è possibile imparare partendo proprio dal cuocere gli hamburger.