Amitrano il viaggio se lo pagava da solo

Devo dire che questa storia non mi piace per nulla.

Quale storia? Quella degli studenti Erasmus, e di tutti quelli non iscritti all’AIRE, cioè temporaneamente all’estero ma con residenza ancora in Italia.
Ecco, per loro negli ultimi tempi c’è stata una grande mobilitazione, fatta in emergenza come nel più classico stile italico, per permettergli di tornare a votare.

Alla fine il Corriere titola così:

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E, per chi non l’avesse capito, riduzioni vuol dire che paghiamo noi per loro.

A me questa storia da molto fastidio, sì perché è stata molto ben strumentalizzata sia dal governo (leggi: il candidato Monti) sia dal PD (leggi: paura dell’astensionismo di chi avrebbe forse votato per loro).

Da fastidio perché tutti cianciano di diritto al voto, scordandosi però che per ogni diritto, in una democrazia, corrisponde un dovere.

Art. 48.

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Si sa, i doveri sono più facili se c’è qualcuno che paga per noi.

Me ricordate una cosa, Amitrano il viaggio per votare se lo pagava da solo.

"Rifatti la foto che sei peggiorato"...
“Rifatti la foto che sei peggiorato”…

Ma lui evidentemente aveva un’altra dignità…

Non ne volevo parlare….

… però evidentemente non ci riesco.

La notizia di qualche giorno fa la conoscete tutti, è questa:

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Dicevo che volevo evitare perché mi sembrava la solita cosa trita e ritrita, ma c’è stata una escalation fino ad arrivare al commento di Napolitano.

Quello che mi domando io è come è possibile che dopo tutti questi anni ancora non si siano capiti certi meccanismi?

Eppure non è difficile, è chiaro a molte persone ed è talmente tanto evidente che sono anni che Berlusconi fa di tutto per rubare la scena.
Daniele Luttazzi sono anni che lo ricorda nei suoi spettacoli (come Decameron del 2009), e nelle sue interviste:

Luttazzi, quindi il cucù ad Angela Merkel e la battuta su Obama abbronzato sono modi di rubare la scena?

Berlusconi riesce ogni volta a diventare protagonista di una microstoria, cosicché i giornali parlino sempre di lui.

Cosa guadagna a stare al centro dell’attenzione?

Con queste tecniche riesce a trovare consensi anche negli strati sociali che lui in realtà penalizza. La politica di Berlusconi è reazionaria e classista, ma gli operai lo votano. E’ un fenomeno tutto italiano.

Eppure ogni volta tutti ci cascano. Tutti stanno lì, sui giornali, in tv, sui social, a commentare indignati (o indivanadi) l’uscita impropria.

Uscita impropria che stavolta è davvero magistrale

  1. va in un posto dove non era invitato
  2. è il giorno della memoria, quindi tutti parlano della shoah
  3. dice una cosa che sa troverà tanti italiani d’accordo.

Berlusconi ha sempre fatto così. Ogni volta che non è al centro dell’attenzione (cioè fondamentalmente quando non è al governo o si deve confrontare con persone più importanti di lui sul piano politico internazionale), fa di tutto per cercare di essere la news of the day. E ogni volta ci prende in pieno, riempiendo pagine e pagine di editoriali, articoli, post di blog, trasmissioni televisive e radiofoniche di una sola cosa

del suo nome

Quello che è chiaro in questa campagna, in cui parte palesemente come perdente, è che non ha più niente da perdere. Quindi ha sfoderato tutti i suoi esperti di immagine e marketing (e ha senza dubbio i migliori), sparando con tutte le cartucce di cui dispone. Quindi prende treni per farsi vedere in mezzo alla gente, scherza, ride con tutti e va perfino dal suo “nemico” (ROTFL) Santoro, in uno scontro record di ascolti.

Questo lo capisco perfettamente, è una linea fin troppo chiara, anzi forse è l’unica linea che può portare avanti in questa fase. Sia perché si è rivelata vincente, sia perché lui può solo crescere di percentuale.

Quello che non capisco, e spero a questo punto di non capirlo mai, è perché tutti gli vanno dietro.

Perché tutti fanno il suo gioco, accettano le sue regole e, volenti (allora sono complici) o nolenti (allora sono stupidi) lo aiutano.

L’amara lezione ce la da in fondo l’altro grande autore satirico di questo Paese, Corrado Guzzanti

Er Paese non è de destra né de sinistra: er Paese è de Berlusconi!

Napolitano, Monti e l’Unico Anello

Il Presidente della Repubblica evidentemente non conosce il Signore degli Anelli, altrimenti avrebbe capito che presto o tardi si sarebbe arrivati qui:

Monti scelta civica

Ora la mia è ovviamente una provocazione, non penso affatto che Napolitano possa aver mai letto nulla di Tolkien. Magari ha sentito parlare o ha visto il film, e questo non ha fatto altro che complicare le cose.

Sì perché i film di Peter Jackson sono apprezzabili sotto tanti punti di vista, ma a mio parere non fanno cogliere appieno uno dei concetti più semplici, e quindi più forti, della filosofia tolkeniana.

Il potere corrompe.

E più potere si possiede, più si viene corrotti e si diventa cattivi, avidi di quel potere. Si pensa solo a mantenerlo, difenderlo ed ampliarlo, quel potere.
Per dirla in termini molto semplici, si diventa così:

Alan Lee's Gollum
Alan Lee’s Gollum

Il Gollum di Lee riprende molto bene quello di Tolkien. Non è una creatura con cui provare empatia (o addirittura simpatia), come invece lo ha fatto passare Jackson. Gollum è un essere disgustoso, disumano, che ha totalmente rinnegato la sua natura di pacifico Hobbit pescatore per diventare un mostro corrotto dal potere dell’Unico Anello.

E non è un caso che proprio un Hobbit, le creature più buone e pacifiche del mondo Tolkeniano, siano scelte per mostrare i due aspetti, le due facce del bene e del male della medaglia del potere. Frodo e Bilbo (e Sam e Merry) contrapposti a Gollum.

Come dice giustamente questo saggio su Gandalf3: non esistono Anelli buoni. E la critica di Tolkien nei confronti della politica è netta, decisa e, purtroppo, senza speranza. Non può esserci potere senza corruzione, non può esserci governante che sia immune da quella corruzione e lavori per il bene. Chi ha potere lavora solo per il potere in sé, lavora per averne sempre di più. E più ne ha più ne diventa corrotto.

Se Napolitano avesse letto Tolkien avrebbe saputo che il potere di corruzione è tanto più alto quanto alto è il potere che si ha. E tanto è alto quel potere tanto potente è la trasformazione che applica a chi lo esercita.

Se Napolitano avesse letto Tolkien non avrebbe fatto una delle cose che mi ha sorpreso di più di questi ultimi mesi: sorprendersi del fatto che Monti volesse continuare quel potere.

Sì perché l’intera ascesa del Preside degli illuminati economisti bocconiani è stata caratterizzata da una fiducia quasi cieca, amplificata da atti abbastanza sorprendenti di forzatura del sistema da parte di uno dei Presidenti della Repubblica più attivi degli ultimi decenni. Alla faccia di Kossiga e delle sue picconate. E la fiducia del governo “tecnico” (come mi fa giustamente notare una mia amica non esistono governi tecnici), è stata ricambiata da una sostanziale decisione di andare alle urne, presa proprio da Monti e da un manipolo dei suoi ministri e collaboratori, che ha sostanzialmente bloccato la seconda parte della legislatura.

Sì perché presa la decisione di presentarsi non si potevano fare più le manovre “dure”, che poi sono proprio le uniche che un governo “tecnico” è chiamato a fare. Non si poteva chiudere la legislatura con un ricordo così forte, avrebbe comportato la perdita di qualunque percentuale minima di voto che ora Monti (e Casini e Fini) si aspettano.

Insomma il quadro è abbastanza chiaro, e conferma ancora una volta la morale di Tolkien. Che forse non c’è davvero speranza di aver fiducia in chi arriva al potere.

Chiudo con una curiosità, questo articolo del foglio parlava di Monti come del “Golem creato da Napolitano e dal PD, che gli si rivolta contro”. Non avevano tanto torto, avevano solo sbagliato mitologia, e qualche lettera.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata anche su Cronache Laiche.

La responsabilità (è) dello Stato

Torno a parlare dell’Ilva di Taranto, e di tutto quello che si è detto fatto attorno alla fabbrica.

Le Benevole
Le Benevole – dal photostream di Mafe.

Come accennato nell’altro post, proprio sull’Ilva è uscito un editoriale di Carlo De Benedetti sul Sole dal titolo Responsabilità dello Stato.

L’analisi che fa De Benedetti, che può piacere o non piacere ma la sua esperienza di tycoon ce l’ha, è molto interessante e piacevolmente sintetica ed efficiente. E sicuramente coglie il punto centrale della questione. Ovvero che tutta questa storia non è il susseguirsi casuale di eventi slegati tra loro che sono sfociati in una tragedia locale e nazionale.

È invece il frutto di quella schizofrenia dello Stato, che non è stato capace per anni di gestire una situazione complessa come lo sviluppo industriale del Paese, la definizione e l’applicazione delle regole, l’identificazione dei ruoli e dei responsabili. E che ora si sveglia di botto per arrivare con i bulldozer della magistratura a bloccare, chiudere, arrestare.

E a porre un vergognoso ricatto ai suoi cittadini, gettandoli in una lotta tra poveri che devono picchiarsi tra loro per scegliere se è meglio la fame oggi o un tumore tra qualche anno.

Dice De Benenetti

Che l’industria e la salute non siano spesso sorelle lo sappiamo da sempre. Almeno da quando le tessitrici di Manchester, oltre due secoli fa, cominciarono ad ammalarsi respirando le polveri di lana prodotte dalla lavorazione al telaio. Dopo di allora tutta la storia dell’industrializzazione è quella della ricerca di un compromesso tra salute e lavoro.

Esatto.

Anche se ancora gira qualche invasato che crede che dobbiamo tornare tutti alle belle campagne di una volta, magari a mangiarci il pancotto o la caciottina fatta in casa, è l’industria che ha creato la ricchezza dell’Italia, ed è sempre l’industria che ci permette di crescere, economicamente e socialmente.
Avere una politica industriale è la differenza tra una nazione sviluppata e una in via di sviluppo o peggio.

Quindi l’industria ci deve essere (ed è follia ritenere il contrario, anche se qualcuno ha il coraggio di sostenerlo), ma va opportunamente gestita, normata e controllata nel suo sviluppo e nel suo funzionamento. Quello che dice De Benedetti sembra quindi ovvio, ma purtroppo non è così.

Da quello che sta emergendo dalle cronache del caso Ilva di Taranto, invece, abbiamo avuto tutti la percezione di un ritorno al passato. A quando, agli albori dell’industrializzazione, il lavoro veniva prima anche di diritti essenziali, come quello alla salute.

Qui veniamo al primo punto fondamentale. Ovvero che le politiche, industriali ed occupazionali, sono del tutto assenti. Parliamo di Taranto, quindi sicuramente il mezzogiorno è la parte più colpita, ma il discorso è facilmente espandibile a tutta l’Italia. In questo campo, stiamo rimasti all’ottocento.

Scaricare tutte le colpe sui Riva può essere consolatorio, può aiutarci a lavare una coscienza collettiva, ma non individua né il responsabile vero né la soluzione.

È lo Stato che mette su un’enorme cokeria in riva al mare, senza alcun riparo dai venti che dal mare arrivano. Sono le amministrazioni locali che permettono la nascita di un enorme quartiere proprio a ridosso di quelle strutture. Sono i poteri pubblici, tutti, a chiudere gli occhi davanti all’obiettivo di creare lavoro ad ogni costo in quella parte di Sud.

Sì, certo. Possiamo gioire nel vedere i Riva al gabbio, possiamo anche crocifiggerli sulla pubblica piazza. Anzi, possiamo farli crocifiggere. Ma da chi? Dallo Stato ovviamente.

Quello Stato che gli ha detto qualche anno fa “certo come no, mettetela a Taranto!“, quello Stato che ha detto ai propri cittadinicerto, come no, costruite pure lì accanto! ci andate a lavorare, meglio essere più vicini possibile e fare meno strada no?”

Quello Stato che ha accettato i soldi dei Riva, i “capitani d’industria coraggiosi”, quando servivano per il vergognoso “salvataggio” di Alitalia. Fregandosene del fatto che stavano facendo porcherie di tutti i tipi, anzi essendone complice ben consapevole che volevano solo cercare protezione. Convincere magari qualcuno a chiudere un occhio.

Deve essere lo Stato a pagare la bonifica del sito di Taranto. Chi ha creato quel mostro deve pagare per la sua rimozione.

Esatto. È lo Stato il primo responsabile di questo disastro. Lo stato schizofrenico che prima permette tutto e poi bombarda per ammazzare tutto.
Pagasse lo Stato per sistemare la situazione e risolvere l’allucinante ricatto. Ma non con i nostri soldi, ma con i suoi. Con i suoi asset e con le sue risorse, magari proprio quelle che sono uscite dalle tasche dei Riva.

Sento spesso parlare di ricette per la crescita e per il rilancio della manifattura: ecco una buona occasione. Invece di parlare a casaccio di politiche industriali, una buona politica potrebbe e dovrebbe partire da qui: dalla bonifica delle aree industriali dismesse, attraverso programmi misti tra pubblico e privato, aprendo la strada a possibili investitori italiani e stranieri.

Lo Stato non vuole risolvere la situazione, quindi che fa? Chiede sforzi assurdi ai privati. Quelli stessi privati a cui prima permetteva tutto però.

Bene, De Benedetti prende questa situazione di stallo e la rigira come un’ottima opportunità di crescita. Si facciano delle politiche industriali di sviluppo e si attivino programmi, aperti agli investitori esteri, per favorire la bonifica di queste aree problematiche. Ovviamente offrendo vantaggi fiscali e burocratici ulteriori.

Ma pianificando e controllando, ovviamente. Il potenziale c’era ed è rimasto, si sono solo complicate un po’ le cose. Ma il messaggio che da De Benedetti è positivo. Si può trasformare la crisi in opportunità.

Ma va presa una decisione.

Dalla vicenda dell’Ilva c’è dunque una lezione più ampia da trarre. Ridurlo a un caso di criminalità individuale non aiuta a capire. Quella dell’acciaieria di Taranto, e delle morti che ha portato, è storia d’Italia. Conoscerla, e soprattutto capirla, può aiutarci a costruire per il futuro.

La chiosa finale è positivista, anche se non la trovo condivisibile. Per gran parte dei media e della popolazione è solo un caso di criminalità industriale.
E fare decreti di “salvataggio”, che peraltro vanno contro quanto dicono altri organi dello Stato stesso, alimenta solo quella schizofrenia incomprensibile. Figlia del pensare solo all’immediato tornaconto di politiche personali, e mai al bene della nazione.

Altro che costruire il futuro, qua si continua ad affossare il presente.

I tecnici e la comunicazione

I giornali danno sempre molto risalto alle uscite mediatiche dei professoroni “tecnici” al Governo (non solo questo, vi ricordate il le tasse sono bellissime del fu Padoa-Schioppa?).

Repubblica ora propone un bel montaggio (volevo embeddarlo nell’articolo, ma è un casino), con tutte le principali dichiarazioni fatte in questo anno e, visto che li ho più o meno commentati tutti anche io, ne approfitto per rivederle caso per caso. Nel frattempo aggiungo anche due righe sul modo in cui hanno espresso la loro opinione, oltre che sul significato delle parole stesse.

Cominciamo col capo della banda, ovviamente.

Monti: “Che monotonia un posto fisso”.

  • Significato: ha perfettamente ragione, fare concorsi in 30mila per 2 posti da aiuto-portaltettere è ridicolo. Non c’entra nulla la crisi (succede da decenni), c’entra il fatto che c’è un’enorme massa di gente o non qualificata o qualificata per cose che non hanno mercato che cerca disperatamente qualunque cosa.
    Questo è il problema che il Governo dovrebbe (o avrebbe dovuto…) provare a risolvere, anche modificando i percorsi formativi o istituendo strumenti di riqualificazione, soprattutto in tempi di crisi. Bisogna abituarsi all’idea di girare, sia Italia che soprattutto in Europa. Ma gli italiani sono bloccati per tanti motivi…
  • Modo: spocchia evitabile. Che il “posto in banca” sia un modello del passato è giustissimo, ma questo non ha nulla a che fare con fare lo stesso tipo di lavoro tutta la vita. C’è gente che è molto contenta e non si vede per quale motivo debba smettere.

Fornero: “Non siate choosy”.

  • Significato: c’entra il punto alla grande. La velocità è tutto nel mondo attuale, sia per il dinamismo di cui al punto precedente sia perché non ha senso aspettare (proprio come dice Monti) l’occasione della vita. Perché probabilmente non arriverà mai. Prima si entra nel mondo del lavoro prima si raggiunge qualcosa almeno simile a quello che si auspicava di fare. Perché ricordiamolo: non è che se uno decide di fare una cosa farà quella per forza eh… bisogna prima capire se si è capace di farla (ma la meritocrazia vale solo per gli altri, in Italia…).
  • Modo: ha fatto incazzare tutti, quindi per come vanno le cose in Italia vuol dire che ha veramente ragione. E visto il livello delle reazioni, ci sono anche i fatti che lo dimostrano.

Martone: “A 28 anni senza laurea? Sfigato”.

  • Significato: è un corollario a quanto detto dalla Fornero. Va compreso che non conta più avere il pezzo di carta, ma conta dove lo prendi e in quanto tempo. Perdere tempo in quell’età è assurdo, ci possono essere tanti motivi certo,  ma comunque resta il punto che prima si inizia a lavorare meglio è. È difficilissimo prendere una laurea lavorando, certo, ma significa almeno minimizzare i danni. Soprattutto se si hanno le spalle coperte.
  • Modo: allucinante. Almeno la Fornero ha usato un anglismo, Martone non può usare termini gergali, per di più anche di offesa personale per nessun motivo. Poteva dire la cosa contestualizzandola molto meglio, e avrebbe raggiunto l’obiettivo in modo ancora più efficace.

Fornero: “Si può licenziare”.

  • Significato: si commenta da solo. L’articolo 18 ormai è senza dubbio un residuato a difesa di una minoranza di lavoratori, e serve principalmente ad alimentare di tessere i rispettivi sindacati. Anzi, in molti casi in allegato al suddetto articolo ci sono tante belle letterine di dimissioni in bianco, prefirmate magari da una donna neoassunta (Ha intenzione di mettere su famiglia?). È il punto da cui partire per una riforma del lavoro? Assolutamente no, anzi è il punto di arrivo dopo che si è sistemato tutto il resto.
  • Modo: Dice una cosa poi la ritratta (la possibilità… non avevo e non ho… ). Se proprio lo vuole abolire lo dica e basta, se non riescono a prendersi le responsabilità i “tecnici” chi cazzo deve prendersele?

Fornero: “Chiedere un sacr….”.

  • Significato: boh. Lo volevano fare o no? Non è che li hanno obbligati ad accettare quel posto eh, sapevano cosa dovevano andare a fare.
  • Modo: sproporzionato e non giustificabile per un membro del Governo.

Monti: “Dovevo farla più pesante”.

  • Significato: non c’è, era una battuta.
  • Modo: strabuzza gli occhi quando vede il sondaggio, ma non dovrebbe saperlo prima? La battuta poi è ridicola, tanto che pure un azzerbinato come Vespa lo riprende.

Fornero: “Una paccata di miliardi”.

  • Significato: ha ragione, se uno vuole dialogare ci prova, non dice no a priori per poi avere chissà che…
  • Modo: scelta delle parole sbagliata per un ministro.

Polillo: “La gente in Germania lavora!”.

  • Significato: il tema della produttività in Italia deriva da tanti fattori, se per “gente” intendiamo tutti gli attori coinvolti nel sistema industriale ha perfettamente ragione.
  • Modo: già per il fatto che lascia Landini senza parole sarebbe da applausi.

Polillo: “Riduciamo le aliquote”.

  • Significato: Diciamo che, a riprova del fatto che il Governo “tecnico” non esiste, i sottosegretari sono quasi tutti politici affiliati ai vari partiti di maggioranza. Quindi dicono cose che fanno comodo al loro partito, non certo a Monti.
  • Modo: ha fatto una figura di merda in diretta, ma questo va benissimo e infatti lo invitano dovunque. Certo è che un ministro dovrebbe allontanare un sottosegretario così, o almeno impedirgli di andare in giro a parlare a vanvera. Ma non può, per i motivi di cui sopra.

Clini: “Riflettere sul ritorno al nucleare”.

  • Significato: ha ragione, non si possono decidere le politiche energetiche di un paese facendo un referendum, soprattutto perché entrano in gioco fattori emotivi, di tifo o di convenienza personale che nulla hanno a che fare con le infrastrutture necessarie alla crescita di un paese (ma dello Stato schizofrenico abbiamo già parlato). Anche perché se usiamo questo metro allora vietiamo quasi tutto (cominciando dai mezzi di trasporto), visto che la gente continua a morire per le cause più disparate. E l’esempio del Giappone ci sta, visto che nessuno è morto a causa dell’incidente nucleare.
  • Modo: giusto, ma i tempi hanno ammazzato del tutto il discorso, non che una volta deciso il referendum ci fosse granché da discutere.

Giarda: “Meccacci & company”.

  • Ma che gli devo dire a Giarda su… sono più svegli i pensionati che gestiscono il traffico davanti alle scuole… 😀