Torno a parlare dell’Ilva di Taranto, e di tutto quello che si è detto fatto attorno alla fabbrica.

Come accennato nell’altro post, proprio sull’Ilva è uscito un editoriale di Carlo De Benedetti sul Sole dal titolo Responsabilità dello Stato.
L’analisi che fa De Benedetti, che può piacere o non piacere ma la sua esperienza di tycoon ce l’ha, è molto interessante e piacevolmente sintetica ed efficiente. E sicuramente coglie il punto centrale della questione. Ovvero che tutta questa storia non è il susseguirsi casuale di eventi slegati tra loro che sono sfociati in una tragedia locale e nazionale.
È invece il frutto di quella schizofrenia dello Stato, che non è stato capace per anni di gestire una situazione complessa come lo sviluppo industriale del Paese, la definizione e l’applicazione delle regole, l’identificazione dei ruoli e dei responsabili. E che ora si sveglia di botto per arrivare con i bulldozer della magistratura a bloccare, chiudere, arrestare.
E a porre un vergognoso ricatto ai suoi cittadini, gettandoli in una lotta tra poveri che devono picchiarsi tra loro per scegliere se è meglio la fame oggi o un tumore tra qualche anno.
Dice De Benenetti
Che l’industria e la salute non siano spesso sorelle lo sappiamo da sempre. Almeno da quando le tessitrici di Manchester, oltre due secoli fa, cominciarono ad ammalarsi respirando le polveri di lana prodotte dalla lavorazione al telaio. Dopo di allora tutta la storia dell’industrializzazione è quella della ricerca di un compromesso tra salute e lavoro.
Esatto.
Anche se ancora gira qualche invasato che crede che dobbiamo tornare tutti alle belle campagne di una volta, magari a mangiarci il pancotto o la caciottina fatta in casa, è l’industria che ha creato la ricchezza dell’Italia, ed è sempre l’industria che ci permette di crescere, economicamente e socialmente.
Avere una politica industriale è la differenza tra una nazione sviluppata e una in via di sviluppo o peggio.
Quindi l’industria ci deve essere (ed è follia ritenere il contrario, anche se qualcuno ha il coraggio di sostenerlo), ma va opportunamente gestita, normata e controllata nel suo sviluppo e nel suo funzionamento. Quello che dice De Benedetti sembra quindi ovvio, ma purtroppo non è così.
Da quello che sta emergendo dalle cronache del caso Ilva di Taranto, invece, abbiamo avuto tutti la percezione di un ritorno al passato. A quando, agli albori dell’industrializzazione, il lavoro veniva prima anche di diritti essenziali, come quello alla salute.
Qui veniamo al primo punto fondamentale. Ovvero che le politiche, industriali ed occupazionali, sono del tutto assenti. Parliamo di Taranto, quindi sicuramente il mezzogiorno è la parte più colpita, ma il discorso è facilmente espandibile a tutta l’Italia. In questo campo, stiamo rimasti all’ottocento.
Scaricare tutte le colpe sui Riva può essere consolatorio, può aiutarci a lavare una coscienza collettiva, ma non individua né il responsabile vero né la soluzione.
È lo Stato che mette su un’enorme cokeria in riva al mare, senza alcun riparo dai venti che dal mare arrivano. Sono le amministrazioni locali che permettono la nascita di un enorme quartiere proprio a ridosso di quelle strutture. Sono i poteri pubblici, tutti, a chiudere gli occhi davanti all’obiettivo di creare lavoro ad ogni costo in quella parte di Sud.
Sì, certo. Possiamo gioire nel vedere i Riva al gabbio, possiamo anche crocifiggerli sulla pubblica piazza. Anzi, possiamo farli crocifiggere. Ma da chi? Dallo Stato ovviamente.
Quello Stato che gli ha detto qualche anno fa “certo come no, mettetela a Taranto!“, quello Stato che ha detto ai propri cittadini “certo, come no, costruite pure lì accanto! ci andate a lavorare, meglio essere più vicini possibile e fare meno strada no?”
Quello Stato che ha accettato i soldi dei Riva, i “capitani d’industria coraggiosi”, quando servivano per il vergognoso “salvataggio” di Alitalia. Fregandosene del fatto che stavano facendo porcherie di tutti i tipi, anzi essendone complice ben consapevole che volevano solo cercare protezione. Convincere magari qualcuno a chiudere un occhio.
Deve essere lo Stato a pagare la bonifica del sito di Taranto. Chi ha creato quel mostro deve pagare per la sua rimozione.
Esatto. È lo Stato il primo responsabile di questo disastro. Lo stato schizofrenico che prima permette tutto e poi bombarda per ammazzare tutto.
Pagasse lo Stato per sistemare la situazione e risolvere l’allucinante ricatto. Ma non con i nostri soldi, ma con i suoi. Con i suoi asset e con le sue risorse, magari proprio quelle che sono uscite dalle tasche dei Riva.
Sento spesso parlare di ricette per la crescita e per il rilancio della manifattura: ecco una buona occasione. Invece di parlare a casaccio di politiche industriali, una buona politica potrebbe e dovrebbe partire da qui: dalla bonifica delle aree industriali dismesse, attraverso programmi misti tra pubblico e privato, aprendo la strada a possibili investitori italiani e stranieri.
Lo Stato non vuole risolvere la situazione, quindi che fa? Chiede sforzi assurdi ai privati. Quelli stessi privati a cui prima permetteva tutto però.
Bene, De Benedetti prende questa situazione di stallo e la rigira come un’ottima opportunità di crescita. Si facciano delle politiche industriali di sviluppo e si attivino programmi, aperti agli investitori esteri, per favorire la bonifica di queste aree problematiche. Ovviamente offrendo vantaggi fiscali e burocratici ulteriori.
Ma pianificando e controllando, ovviamente. Il potenziale c’era ed è rimasto, si sono solo complicate un po’ le cose. Ma il messaggio che da De Benedetti è positivo. Si può trasformare la crisi in opportunità.
Ma va presa una decisione.
Dalla vicenda dell’Ilva c’è dunque una lezione più ampia da trarre. Ridurlo a un caso di criminalità individuale non aiuta a capire. Quella dell’acciaieria di Taranto, e delle morti che ha portato, è storia d’Italia. Conoscerla, e soprattutto capirla, può aiutarci a costruire per il futuro.
La chiosa finale è positivista, anche se non la trovo condivisibile. Per gran parte dei media e della popolazione è solo un caso di criminalità industriale.
E fare decreti di “salvataggio”, che peraltro vanno contro quanto dicono altri organi dello Stato stesso, alimenta solo quella schizofrenia incomprensibile. Figlia del pensare solo all’immediato tornaconto di politiche personali, e mai al bene della nazione.
Altro che costruire il futuro, qua si continua ad affossare il presente.