In Italia gli ambientalisti, o meglio gli  pseudo ambientalisti mediatici, hanno sempre cavalcato l’onda demagogico-popolare dell’effetto NIMBY, per opporti a praticamente qualsiasi infrastruttura o opera sia anche lontanamente utile alla comunità.

Per non parlare dei progetti o interventi utili a rafforzare la politica energetica o industriale italiana.

In sintesi questa gente, sempre in prima fila nelle manifestazioni nei salotti radical chic AristoDem e nelle trasmissioni tv più impegnate, è una delle cause dell’arretratezza politico-industriale dell’Italia.

I moti di opposizione popolare (sempre vagamente quantificati, s’intende) sono quindi per questi professionisti del NO! il terreno di coltura ideale, ovviamente per alimentare il proprio cachet, per vendere libri e firmare colonne sui giornali impegnati.

Però ogni tanto il giocattolo gli si rivolta contro.

Per capire meglio, vediamo come Wikipedia definisce NIMBY:

Con NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. “Non nel mio cortile”) si indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come ad esempio grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili.

La chiave di tutto il casino che si crea per l’effetto NIMBY è proprio l’ignoranza.

Il non capire cosa sta succedendo, e il temere che l’opera possa avere effetti nefasti sulla vita di chi vive in quella zona.

C’è da aggiungere ovviamente che in Italia lo Stato è sempre molto carente in quanto a spiegazioni, che non c’è un vero dibattito pubblico e che spesso i politici non capiscono una beneamata mazza di quello che stanno facendo.

E il fatto che la chiave sia l’ignoranza, i signori di cui sopra lo sanno benissimo. E l’hanno sempre usata per fomentare la gente a ribellarsi (insieme ad un nutrito gruppo di violenti, che in Italia non mancano mai).

Vogliono fare le centrali nucleari! Moriremo tutti come i giapponesi a Fukushima!

Sapendo queste cose sono rimasto davvero contento nel leggere questo articolo di Mario Tozzi, uno dei paladini del No! a tutto, su Nuovo Consumo (la rivista dei soci Coop).

Nell’articolo Tozzi, uno che di mestiere dovrebbe fare il geologo ma che parla (e sparla) di tutto e di più, dall’industria alla fisica nucleare, se la prende proprio con l’ignoranza dei fautori del NIMBY, perché protestano contro le opere di geotermia.

Materia che, guarda un po’, è la sua e quindi conosce molto bene.

Scrive Tozzi (e io sogghigno..)

E hanno ragione nel combattere chi continua a puntare sui combustibili fossili maggiormente inquinanti e a pretendere maggiori efficienze e risparmi. Ma alcune opposizioni non si riescono a comprendere. Una di quelle meno giustificate è l’opposizione alla geotermia, gonfiata dalle polemiche sulle trivellazioni, ritenute addirittura responsabili di sismi come quello emiliano dello scorso anno. Intanto questo non è fisicamente possibile, ma come si fa a opporsi allo sfruttamento del calore del sottosuolo? Purché piova, quell’energia è rinnovabile per sempre, non ci sono emissioni inquinanti e l’impatto paesaggistico è modesto.

Eppure dal Monte Amiata a Ferrara insorgono comitati contro l’energia geotermica. È davvero bizzarro che chi si è sciroppato per decenni senza protestare l’inquinamento delle fonti fossili comunque declinato, e magari usa l’auto tutti i giorni, oggi si sollevi contro una forma di energia pulita e rinnovabile. Basterebbe studiare un po’ per fare le distinzioni necessarie.

Prima incolpa la gente di essersi sciroppato l’inquinamento delle fonti fossili, poi addirittura li accusa di essere ignoranti sulla materia per cui protestano.

Insomma finché si protesta, senza studiare eh, su altri argomenti va bene (vedere sempre Tozzi, quando parla di TAV), quando invece si tocca la propria sfera professionale allora i NIMBY tornano ad essere dei bifolchi rompicoglioni come al solito.

Forse è davvero il caso che ognuno si faccia i NIMBY propri, invece che fare gli opinionisti dell’onniscenza.

Famo la startap!

Più o meno dall’ultima fase della sua vita, e particolarmente dalla sua sovraesposta morte, l’Italia si è riempita di gente che pensa di essere come Steve Jobs.

E nemmeno nella sua fase più importante di visionario innovatore, no, proprio nella sua interpretazione più semplice: l’imprenditore che ha un’idea, che nasce dal nulla. Si potrebbe anche parlare di self made man, ma il termine fu già ampiamente abusato nel nostro paese durante gli anni della Milano da bere, quindi è meglio restare focalizzati solo sull’idea.

Mitizzando, come spesso succede in Italia, le opere del fondatore della Apple, è scoppiata la mania delle startup.

Un sacco di gente, che è convinta di essere geniale come Steve ma solo nata nel paese sbagliato, ha iniziato a parlare di creatività, idee innovative. E, appunto, di fare una startup. Tutti ne parlano e tutti hanno un idea.

E tutti si lamentano che la loro idea non trova fondi.

Eh… ma se nascevo in America, lì sì che investono nelle grandi idee!

Tutte queste sono parole al vento, naturalmente.
Perché un paese come l’Italia che ha sempre visto male la figura dell’imprenditore, che pensa che le PMI siano una risorsa (invece è una iattura), che non fa nulla per incentivare l’impresa privata, aumentando il potere delle controllate pubbliche, che cultura imprenditoriale può generare?

Vi faccio un esempio concreto di quello che succede proprio negli USA, il paradiso delle startup.

Questo è uno screenshot di Inc.com, uno dei siti principali che raccontano il mondo del business a stelle e strisce. In particolare quello high tech, ma i suoi articoli sono molto generici e orientati al mondo degli affari a tutto campo.

INC. Startup

La prima voce del menu principale del sito è proprio Start-up.
Giustamente a Inc. sanno molto bene che l’inizio di tante cose, in particolare nel mondo tecnologico, è una piccola idea nata in una piccola società.

Ma la vedete qual è la prima voce del sottomenu? Scrivere un Business Plan.

Prima di qualsiasi altra cosa, prima addirittura del nome della startup. Perché senza avere un business plan non si va da nessuna parte.

Senza avere un business plan non troverete mai nessuno che vi darà una lira.

Qualche tempo fa (mi pare proprio nei giorni della morte di Jobs, probabilmente parlando del libro Se Steve Jobs fosse nato a Napoli), da Gianluca Nicoletti a Melog su Radio 24 discutevano diversi esperti del settore. Tra loro anche un italiano, che lavora come ventur capitalist a Londra in una società di angel investor, con particolare attenzione al mercato italiano.

Ecco, questa persona ha detto chiaro e tondo che gli arrivano tanti italiani a chiedere soldi. Magari anche con idee buone e interessanti, ma che non hanno un business plan concreto, e spesso non hanno nemmeno idea di cosa sia.

Come possono quindi queste persone pretendere che qualcuno gli dia soldi, se non gli spiegano prima come farà a riaverli indietro, e auspicabilmente a guadagnarci qualcosa?

Sì perché la rivelazione sorprendente non è che basta avere un’idea (di quelle ce ne sono in giro anche troppe), ma bisogna spiegare a che serve e come farla fruttare.
Perché il capitalismo (di questo stiamo parlando, visto che il paradiso degli startupper sono gli Stati Uniti), è un sistema che mira a fare soldi.

Quindi la vostra idea brillante è brillante sì, ma perché serve a far guadagnare. E se trovate uno che di mestiere finanzia le imprese, non sta facendo beneficienza, sta cercando una via per far fruttare i suoi soldi. E la via siete voi.

La colpa di questa situazione è sicuramente un sistema culturale che, come detto, tutto fa tranne che incentivare l’impresa privata (non mi dite delle società che si possono aprire con un euro, ve prego… è la prova che si lavora contro l’impresa non a favore).  Che non spiega come strutturare passi elementari ma fondamentali come il business plan, che non attiva percorsi di formazione e incubazione concreti, magari anche con fondi pubblici (e ci sono eccome…).

Però la colpa principale è sicuramente di chi ha l’arroganza di aver capito tutto, e che fa la povera vittima con l’idea geniale che nessuno capisce. Che “se fossi nato in USA…

Sarebbe uguale, gli avrebbero chiuso la porta in faccia lo stesso.

Vi do un bel consiglio, quando parlate con uno di questi grandi imprenditori in erba, incompresi e frustrati perché nessuno capisce il loro genio, fategli una semplice domanda: mi fai vedere il business plan?

Se vi guardano come se foste un alieno, andatevene e lasciateli a leggere Millionaire.

E a rodersi il fegato.

Il posto più visitato del mondo? Non è quello che pensate…

Guardando la classifica dei posti più fotografati su Instagram nel 2012 si ha senza dubbio una sorpresa.

Instagram top places 2012

I primi due posti sono il Siam Paragon, un centro commerciale, e l’Aeroporto Suvarnabhumi, entrambi a Bangkok.

Perché sono i primi due posti?
Molto semplice: perché Bangkok è la città più visitata del mondo.

The Atlantic pubblica una tabella molto esplicativa, basata sui dati forniti dal Global Destination Cities Index (qui il PDF) di Mastercard, e devo dire per l’Italia piuttosto triste, di quali sono le città più visitate:

Top visited cities

Certo, Londra sta lì lì, però di poco la capitale della Thailandia la supera.

Questo avviene principalmente per flussi di turisti provenienti dall’area asiatica (non per nulla al quarto posto c’è Singapore), il che spiegherebbe anche la grande mole di foto, generata da un popolo fortemente legato all’immagine e fortemente digitalizzato.

In ogni caso i dati sono particolarmente interessanti, sia per la notizia insolita, sia perché dimostra che alla fine i dati provenienti dai social network non sono tanto aleatori ma hanno un riscontro concreto col mondo reale.

Now that the show is over…

Now that the show is over, and we have jointly exercised our constitutional rights, we would like to leave you with one very important thought.

Some time in the future, you may have the opportunity to serve as a juror in a censorship case or a so-called obscenity case.

It would be wise to remember that the same people who would stop you from listening to Boards of Canada may be back next year to complain about a book, or even a TV program.

If you can be told what you can see or read, then it follows that you can be told what to say or think. Defend your constitutionally protected rights – no one else will do it for you.

Thank you.

La costante

Proprio in questi giorni si celebra il terzo anno dalla fine di una delle più famose e note serie televisive degli ultimi anni (anche decenni, visto che non ricordo tanto parlare di una serie TV dai tempi di Twin Peaks).

Tra le tante scene che girano sui blog o social network ce n’è una che non solo è uno dei momenti più belli di tutte le stagioni di Lost, ma è soprattutto una delle scene più intense di gran parte della produzione televisiva recente.

Se non altro perché coinvolge il migliore personaggio di Lost, e forse uno dei più ben scritti di tante serie americane.

Questa è la scena, tratta dall’episodio più bello di quelli dedicati a Desmond.

Desmond – I don’t know where I am, but…
Penny – I’ll find you Des.
Desmond – I promise.
Penny – No matter what.
Desmond – I’ll come back to you.
Penny – I won’t give up.
Desmond – I promise.
Penny – I promise.
Desmond & Penny – I love you.

La cosa bella è che ne avevo già parlato, anni fa, nella vecchia versione di questo blog.
Ma gli anniversari servono a questo no?