La situazione della Capitale è sotto gli occhi di tutti, non solo per questo periodo di maltempo e pioggia continua (curioso in inverno…), quanto per lo stato di paralisi, politica e soprattutto operativa, in cui versa l’amministrazione della città. Ultimissima notizia il decadimento di un gioiello espositivo come il MACRO, rarissimo esempio di struttura degna di una capitale europea, inserita in un contesto sociale e strutturale degno di una capitale del terzo mondo.
Non sono mai stato un fan del sindaco Marino, ma era ovvio che dopo la disastrosa era Alemanno non poteva che vincere lui. Questo forse è stato l’errore “padre” politico del Partito Democratico. Quello cioè di non saper proporre una figura potente, degna davvero di donare a Roma il prestigio che merita e capace di valorizzarla e farne un esempio del resto del paese. Questo la dirigenza locale e nazionale del PD non ha saputo farlo.
Memori forse della cocente sconfitta del turno precedente, quando un Rutelli in modalità minestra riscaldata (era quello delle felpe “non è il mio sindaco”, non scordiamocelo) fu fatto sbattere proprio contro un Alemanno al massimo della sua carriera e forza politica (era apprezzato pure da Luttazzi, tanto per dire…).
I grandi punti deboli di Marino erano due:
- scarsa conoscenza della città, del suo tessuto socio-politico e dei suoi meccanismi di funzionamento
- scarsissima forza politica all’interno del proprio partito
Questi erano ben evidenti a tutti, e sono diventati palesi
Ma cos’è che Marino non ha fatto subito, invece di buttarsi anima e corpo (e soldi nostri) nella buffonata della “pedonalizzazione” dei Fori?
Non ha fatto come Alemanno.
Alemanno quei due punti deboli di Marino li aveva sì, ma al contrario come punti di forza.
Era forte nel suo partito e conosceva benissimo i meccanismi di funzionamento della città. Talmente bene che durante i primi cruciali mesi del suo mandato ha blindato i luoghi del potere con i suoi fedelissimi. Facendo in modo di governare e controllare tutto.
Proprio in quel periodo, usciva questo libro-inchiesta di Claudio Cerasa

Cerasa racconta, qui trovate l’introduzione, proprio con quale metodo e sistematicità Gianni Alemanno e i suoi hanno smontato pezzo a pezzo le roccaforti del potere “rosso” romano. E questo ancora prima delle elezioni, non dimentichiamo che Alemanno è stato votato anche da molte persone di sinistra. Illustra con quale abilità, ma soprattutto conoscenza, Alemanno abbia portato a se i vari gruppi di potere (palazzinari, dirigenti pubblici e delle municipalizzate, la chiesa, i tassinari), andando prima a fare terra bruciata di quasi vent’anni di governo “rosso”, e poi a costruire sopra le sue, di roccaforti.
Il libro non è solo un’analisi dell’operato politico dell’ex primo cittadino di Roma Capitale (altro segno, il cambio di nome del comune), quanto proprio una mappa dei vari potentati e mafiette che, come naturale in ogni organizzazione italica, detengono realmente il potere a Roma.
Alemanno ha potuto fare tutto questo perché sapeva con chi andare a parlare e aveva l’autorità per farlo.
Marino purtroppo queste cose non le sa. Ci ha provato all’inizio a cambiare qualcosa, almeno laddove identificava aree più critiche come ad esempio i vigili urbani, ma ha rimediato solo figuracce su figuracce.
Per non parlare del resto, la giunta è sempre sul punto di esplodere per le ridicole ripicche dei partiti che compongono la maggioranza. Il tutto ovviamente non fa altro che sminuire la forza politica di Marino, che si ritrova sempre più isolato e con altri che prendono decisioni al posto suo.
Delle municipalizzate poi nemmeno parlo, l’Ama è allo sbando (e ricordiamo che l’interlocutore principale di Cerroni era Di Carlo…) e l’Atac ha sì un manager degno di questo nome, ma se non vengono toccate le logiche dirigenziali interne ci sarà poco da fare.
Certo, detto tutto questo c’è da dire però che Alemanno non è stato rieletto. Come ho scritto prima la sua era è stata disastrosa.
Disastrosa perché pur avendo mosso con sapienza tutte le leve giuste, alla fine è rimasto invischiato nei favori agli amici che lo avevano messo lì, nella sua incapacità reale di affrontare almeno i problemi base dei romani (Veltroni con tutte le feste e le case almeno manteneva i servizi in uno stato accettabile), nella sua foga di potere dopo anni e anni di attesa. Senza contare il fallimento più grande di una personalità politica di destra: la sicurezza. Dopo aver fatto campagna elettorale su quel tema (e anche meschinamente su qualche morto), Roma è stata del tutto abbandonata a se stessa, fino ad arrivare ad uno stato di rischio e vuoto di controllo estremo come in questi giorni. Un luogo dove ognuno fa quello che vuole, violando regole, leggi e a volte anche mettendo a rischio la vita delle altre persone.
Alemanno, e il libro di Cerasa lo fa capire, non aveva un’idea di città, ma solo di potere. Tutto questo ha portato ad una sconfitta certa, anche se ritengo che essere arrivato al ballottaggio è stata comunque un successo politico, visti i precedenti. A Marino non è andata bene sicuramente, per l’enorme peso dell’eredità di Alemanno e di tutti i suoi guai da risolvere. Ma non aveva, e purtroppo non ne ha ancora, la capacità di risolverli, quei problemi.
Magari poteva leggersi La presa di Roma dopo essere stato eletto, ma forse sarebbe stato troppo tardi comunque.
A tutti i romani come me non posso che dire una cosa: tanti auguri.