Ovviamente non sono mancati gli stracciamenti di vesti, i retweet gonfi di lacrime e gli strali di tutti gli Indivanados che fuoriescono dal letargo ad ogni breaking news come questa.
Non è mancata nemmeno la vergognosa stampa italiana, che confonde Asperger, Autismo e psicosi varie come se fossero caramelle.
Per fortuna un grande giornalista come Gianluca Nicoletti ha scritto un pezzo meraviglioso, Un autistico non spara, in cui fa un poco di luce per difendersi da accuse ancora più pesanti, rispetto ad una situazione socio-politica già gravissima di suo per i parenti di persone con queste malattie.
Ma il punto non è nemmeno questo.
Il punto è che in ogni commento, status su Facebook, tweet o blog, c’è sempre quell’accusa agli Stati Uniti. L’accusa di essere un posto così perché “vendono le armi al supermercato” (anche se il Post ci spiega che non è propriamente così).
E dietro quell’accusa c’è sempre la sensazione di essere un paese migliore, perché da noi non ti danno tre pistole se sei uno psicopatico, non prendi uno shotgun se apri un conto in banca.
Da noi succedono solo cose come queste:
Napoli, agguato camorristico in una scuola materna – Foto Oggi.
Da noi non sono i pazzi ad usare le armi, sono persone d’onore che si svegliano la mattina, prendono un pezzo dall’arsenale e vanno in una scuola elementare (come Newtown), entrano e ammazzano.
Ma non a caso o per follia, ma con lucida coscienza e volontà.
Fregandosene altamente dei bambini e dei loro genitori.
Siamo proprio sicuri di essere così superiori?
Un articolo che ho scritto su Glamis on Security e che ha inziato un bel dibattito. Tra qualche giorno la seconda parte.
Recentemente sono usciti due articoli che analizzano le modalità con cui viene erogata oggi la sicurezza sul web, e la riconducono ad un sistema medievale di gestione.
Il primo articolo è di Bruce Schneier, e si intitola appunto Feudal Security.
Il secondo è di un altro osservatore molto attento della rete e dei suoi meccanismi, Evgeny Morozov, e tratta più o meno lo stesso concetto ma focalizzato più sui rischi reali, si intitola You Can’t Say That on the Internet.
Andiamo con ordine e cominciamo con il pezzo di Schneier.
Fondamentalmente lui paragona lo stato attuale della sicurezza in rete con quello che succedeva nel medioevo. Cioè che le persone, i vassalli, per essere sicuri in un tempo e luogo che presentava altissimi pericoli, si alleavano al signorotto locale e andavano nella sua cittadella, o territorio…
L’analisi che fa De Benedetti, che può piacere o non piacere ma la sua esperienza di tycoon ce l’ha, è molto interessante e piacevolmente sintetica ed efficiente. E sicuramente coglie il punto centrale della questione. Ovvero che tutta questa storia non è il susseguirsi casuale di eventi slegati tra loro che sono sfociati in una tragedia locale e nazionale.
È invece il frutto di quella schizofrenia dello Stato, che non è stato capace per anni di gestire una situazione complessa come lo sviluppo industriale del Paese, la definizione e l’applicazione delle regole, l’identificazione dei ruoli e dei responsabili. E che ora si sveglia di botto per arrivare con i bulldozer della magistratura a bloccare, chiudere, arrestare.
E a porre un vergognoso ricatto ai suoi cittadini, gettandoli in una lotta tra poveri che devono picchiarsi tra loro per scegliere se è meglio la fame oggi o un tumore tra qualche anno.
Dice De Benenetti
Che l’industria e la salute non siano spesso sorelle lo sappiamo da sempre. Almeno da quando le tessitrici di Manchester, oltre due secoli fa, cominciarono ad ammalarsi respirando le polveri di lana prodotte dalla lavorazione al telaio. Dopo di allora tutta la storia dell’industrializzazione è quella della ricerca di un compromesso tra salute e lavoro.
Esatto.
Anche se ancora gira qualche invasato che crede che dobbiamo tornare tutti alle belle campagne di una volta, magari a mangiarci il pancotto o la caciottina fatta in casa, è l’industria che ha creato la ricchezza dell’Italia, ed è sempre l’industria che ci permette di crescere, economicamente e socialmente.
Avere una politica industriale è la differenza tra una nazione sviluppata e una in via di sviluppo o peggio.
Quindi l’industria ci deve essere (ed è follia ritenere il contrario, anche se qualcuno ha il coraggio di sostenerlo), ma va opportunamente gestita, normata e controllata nel suo sviluppo e nel suo funzionamento. Quello che dice De Benedetti sembra quindi ovvio, ma purtroppo non è così.
Da quello che sta emergendo dalle cronache del caso Ilva di Taranto, invece, abbiamo avuto tutti la percezione di un ritorno al passato. A quando, agli albori dell’industrializzazione, il lavoro veniva prima anche di diritti essenziali, come quello alla salute.
Qui veniamo al primo punto fondamentale. Ovvero che le politiche, industriali ed occupazionali, sono del tutto assenti. Parliamo di Taranto, quindi sicuramente il mezzogiorno è la parte più colpita, ma il discorso è facilmente espandibile a tutta l’Italia. In questo campo, stiamo rimasti all’ottocento.
Scaricare tutte le colpe sui Riva può essere consolatorio, può aiutarci a lavare una coscienza collettiva, ma non individua né il responsabile vero né la soluzione.
È lo Stato che mette su un’enorme cokeria in riva al mare, senza alcun riparo dai venti che dal mare arrivano. Sono le amministrazioni locali che permettono la nascita di un enorme quartiere proprio a ridosso di quelle strutture. Sono i poteri pubblici, tutti, a chiudere gli occhi davanti all’obiettivo di creare lavoro ad ogni costo in quella parte di Sud.
Sì, certo. Possiamo gioire nel vedere i Riva al gabbio, possiamo anche crocifiggerli sulla pubblica piazza. Anzi, possiamo farli crocifiggere. Ma da chi? Dallo Stato ovviamente.
Quello Stato che gli ha detto qualche anno fa “certo come no, mettetela a Taranto!“, quello Stato che ha detto ai propri cittadini “certo, come no, costruite pure lì accanto! ci andate a lavorare, meglio essere più vicini possibile e fare meno strada no?”
Quello Stato che ha accettato i soldi dei Riva, i “capitani d’industria coraggiosi”, quando servivano per il vergognoso “salvataggio” di Alitalia. Fregandosene del fatto che stavano facendo porcherie di tutti i tipi, anzi essendone complice ben consapevole che volevano solo cercare protezione. Convincere magari qualcuno a chiudere un occhio.
Deve essere lo Stato a pagare la bonifica del sito di Taranto. Chi ha creato quel mostro deve pagare per la sua rimozione.
Esatto. È lo Stato il primo responsabile di questo disastro. Lo stato schizofrenico che prima permette tutto e poi bombarda per ammazzare tutto.
Pagasse lo Stato per sistemare la situazione e risolvere l’allucinante ricatto. Ma non con i nostri soldi, ma con i suoi. Con i suoi asset e con le sue risorse, magari proprio quelle che sono uscite dalle tasche dei Riva.
Sento spesso parlare di ricette per la crescita e per il rilancio della manifattura: ecco una buona occasione. Invece di parlare a casaccio di politiche industriali, una buona politica potrebbe e dovrebbe partire da qui: dalla bonifica delle aree industriali dismesse, attraverso programmi misti tra pubblico e privato, aprendo la strada a possibili investitori italiani e stranieri.
Lo Stato non vuole risolvere la situazione, quindi che fa? Chiede sforzi assurdi ai privati. Quelli stessi privati a cui prima permetteva tutto però.
Bene, De Benedetti prende questa situazione di stallo e la rigira come un’ottima opportunità di crescita. Si facciano delle politiche industriali di sviluppo e si attivino programmi, aperti agli investitori esteri, per favorire la bonifica di queste aree problematiche. Ovviamente offrendo vantaggi fiscali e burocratici ulteriori.
Ma pianificando e controllando, ovviamente. Il potenziale c’era ed è rimasto, si sono solo complicate un po’ le cose. Ma il messaggio che da De Benedetti è positivo. Si può trasformare la crisi in opportunità.
Ma va presa una decisione.
Dalla vicenda dell’Ilva c’è dunque una lezione più ampia da trarre. Ridurlo a un caso di criminalità individuale non aiuta a capire. Quella dell’acciaieria di Taranto, e delle morti che ha portato, è storia d’Italia. Conoscerla, e soprattutto capirla, può aiutarci a costruire per il futuro.
La chiosa finale è positivista, anche se non la trovo condivisibile. Per gran parte dei media e della popolazione è solo un caso di criminalità industriale.
E fare decreti di “salvataggio”, che peraltro vanno contro quanto dicono altri organi dello Stato stesso, alimenta solo quella schizofrenia incomprensibile. Figlia del pensare solo all’immediato tornaconto di politiche personali, e mai al bene della nazione.
Altro che costruire il futuro, qua si continua ad affossare il presente.
L’articolo, come gli altri pubblicati da BI, non si focalizza sui soliti numeri su quanti panini assemblano o quanto sale c’è nelle patatine per farti comprare più bibite annacquate.
Da invece numeri molto interessanti sul giro d’affari aziendale e soprattutto sul numero dei lavoratori, e loro tipologia.
Anzi è il dato che ci mostra come il dinamismo sia uno dei fattori chiave della prima economia del mondo. E non a caso.
Perché dire che un lavoratore americano su otto ha messo la verdura sui Big Mac vuol dire che fare quel lavoro è utilissimo per entrare in un’ottica lavorativa il prima possibile, esattamente come si diceva qui l’altra volta, e anche che il mindset di chi fa quella scelta non è certo quello di restare lì a vita (almeno non tutti). Ma solo di iniziare a capire le logiche di un ambiente che prenderà gran parte della propria vita, e che permetterà di poter fare delle scelte indipendenti.
Ci guadagnano anche loro? Ma certamente, il dato del turnover lo dimostra. Del resto non puntano ad un lavoro altamente qualificante, ma che sia efficiente, a basso costo e in gran numero per far fronte alle richieste dei clienti.
Conosco diverse persone che hanno lavorato lì, magari proprio come primo lavoro, e con soddisfazione. Anche perché da quel tipo di lavoro si capiscono molte cose, essendo a contatto con la clientela e con standard qualitativi molto alti. Ma conosco anche gente che “non cimetterei mai piede”.
Senza entrare nel merito qualitativo (ma ne parlerò, fa parte del quadro generale), è evidente come aziende di questo tipo possano essere molto utili come strumento di supporto ad un necessario cambiamento di mentalità, che non può più essere quella dei trentamila ai concorsi all’Ergife.
Aggiornamento:Daniele su Facebook mi suggerisce un bell’articolo del Sole che descrive dall’interno il funzionamento e i livelli qualitativi di un McDonald’s. Lo segnalo perché è significativo di quanto effettivamente è possibile imparare partendo proprio dal cuocere gli hamburger.
I giornali danno sempre molto risalto alle uscite mediatiche dei professoroni “tecnici” al Governo (non solo questo, vi ricordate il le tasse sono bellissime del fu Padoa-Schioppa?).
Repubblica ora propone un bel montaggio (volevo embeddarlo nell’articolo, ma è un casino), con tutte le principali dichiarazioni fatte in questo anno e, visto che li ho più o meno commentati tutti anche io, ne approfitto per rivederle caso per caso. Nel frattempo aggiungo anche due righe sul modo in cui hanno espresso la loro opinione, oltre che sul significato delle parole stesse.
Cominciamo col capo della banda, ovviamente.
Monti: “Che monotonia un posto fisso”.
Significato: ha perfettamente ragione, fare concorsi in 30mila per 2 posti da aiuto-portaltettere è ridicolo. Non c’entra nulla la crisi (succede da decenni), c’entra il fatto che c’è un’enorme massa di gente o non qualificata o qualificata per cose che non hanno mercato che cerca disperatamente qualunque cosa.
Questo è il problema che il Governo dovrebbe (o avrebbe dovuto…) provare a risolvere, anche modificando i percorsi formativi o istituendo strumenti di riqualificazione, soprattutto in tempi di crisi. Bisogna abituarsi all’idea di girare, sia Italia che soprattutto in Europa. Ma gli italiani sono bloccati per tanti motivi…
Modo: spocchia evitabile. Che il “posto in banca” sia un modello del passato è giustissimo, ma questo non ha nulla a che fare con fare lo stesso tipo di lavoro tutta la vita. C’è gente che è molto contenta e non si vede per quale motivo debba smettere.
Fornero: “Non siate choosy”.
Significato: c’entra il punto alla grande. La velocità è tutto nel mondo attuale, sia per il dinamismo di cui al punto precedente sia perché non ha senso aspettare (proprio come dice Monti) l’occasione della vita. Perché probabilmente non arriverà mai. Prima si entra nel mondo del lavoro prima si raggiunge qualcosa almeno simile a quello che si auspicava di fare. Perché ricordiamolo: non è che se uno decide di fare una cosa farà quella per forza eh… bisogna prima capire se si è capace di farla (ma la meritocrazia vale solo per gli altri, in Italia…).
Modo: ha fatto incazzare tutti, quindi per come vanno le cose in Italia vuol dire che ha veramente ragione. E visto il livello delle reazioni, ci sono anche i fatti che lo dimostrano.
Martone: “A 28 anni senza laurea? Sfigato”.
Significato: è un corollario a quanto detto dalla Fornero. Va compreso che non conta più avere il pezzo di carta, ma conta dove lo prendi e in quanto tempo. Perdere tempo in quell’età è assurdo, ci possono essere tanti motivi certo, ma comunque resta il punto che prima si inizia a lavorare meglio è. È difficilissimo prendere una laurea lavorando, certo, ma significa almeno minimizzare i danni. Soprattutto se si hanno le spalle coperte.
Modo: allucinante. Almeno la Fornero ha usato un anglismo, Martone non può usare termini gergali, per di più anche di offesa personale per nessun motivo. Poteva dire la cosa contestualizzandola molto meglio, e avrebbe raggiunto l’obiettivo in modo ancora più efficace.
Fornero: “Si può licenziare”.
Significato: si commenta da solo. L’articolo 18 ormai è senza dubbio un residuato a difesa di una minoranza di lavoratori, e serve principalmente ad alimentare di tessere i rispettivi sindacati. Anzi, in molti casi in allegato al suddetto articolo ci sono tante belle letterine di dimissioni in bianco, prefirmate magari da una donna neoassunta (Ha intenzione di mettere su famiglia?). È il punto da cui partire per una riforma del lavoro? Assolutamente no, anzi è il punto di arrivo dopo che si è sistemato tutto il resto.
Modo: Dice una cosa poi la ritratta (la possibilità… non avevo e non ho… ). Se proprio lo vuole abolire lo dica e basta, se non riescono a prendersi le responsabilità i “tecnici” chi cazzo deve prendersele?
Fornero: “Chiedere un sacr….”.
Significato: boh. Lo volevano fare o no? Non è che li hanno obbligati ad accettare quel posto eh, sapevano cosa dovevano andare a fare.
Modo: sproporzionato e non giustificabile per un membro del Governo.
Monti: “Dovevo farla più pesante”.
Significato: non c’è, era una battuta.
Modo: strabuzza gli occhi quando vede il sondaggio, ma non dovrebbe saperlo prima? La battuta poi è ridicola, tanto che pure un azzerbinato come Vespa lo riprende.
Fornero: “Una paccata di miliardi”.
Significato: ha ragione, se uno vuole dialogare ci prova, non dice no a priori per poi avere chissà che…
Modo: scelta delle parole sbagliata per un ministro.
Polillo: “La gente in Germania lavora!”.
Significato: il tema della produttività in Italia deriva da tanti fattori, se per “gente” intendiamo tutti gli attori coinvolti nel sistema industriale ha perfettamente ragione.
Modo: già per il fatto che lascia Landini senza parole sarebbe da applausi.
Polillo: “Riduciamo le aliquote”.
Significato: Diciamo che, a riprova del fatto che il Governo “tecnico” non esiste, i sottosegretari sono quasi tutti politici affiliati ai vari partiti di maggioranza. Quindi dicono cose che fanno comodo al loro partito, non certo a Monti.
Modo: ha fatto una figura di merda in diretta, ma questo va benissimo e infatti lo invitano dovunque. Certo è che un ministro dovrebbe allontanare un sottosegretario così, o almeno impedirgli di andare in giro a parlare a vanvera. Ma non può, per i motivi di cui sopra.
Clini: “Riflettere sul ritorno al nucleare”.
Significato: ha ragione, non si possono decidere le politiche energetiche di un paese facendo un referendum, soprattutto perché entrano in gioco fattori emotivi, di tifo o di convenienza personale che nulla hanno a che fare con le infrastrutture necessarie alla crescita di un paese (ma dello Stato schizofrenico abbiamo già parlato). Anche perché se usiamo questo metro allora vietiamo quasi tutto (cominciando dai mezzi di trasporto), visto che la gente continua a morire per le cause più disparate. E l’esempio del Giappone ci sta, visto che nessuno è morto a causa dell’incidente nucleare.
Modo: giusto, ma i tempi hanno ammazzato del tutto il discorso, non che una volta deciso il referendum ci fosse granché da discutere.
Giarda: “Meccacci & company”.
Ma che gli devo dire a Giarda su… sono più svegli i pensionati che gestiscono il traffico davanti alle scuole… 😀